Troppo stigma sul Ghb. È un farmaco vero, non “droga dello stupro”

Troppo stigma sul Ghb. È un farmaco vero, non “droga dello stupro”

Tornato alla ribalta grazie a recenti fatti di cronaca, il principio attivo è impiegato da molti anni nel trattamento della dipendenza da alcol e per i disturbi del sonno. Storia di una molecola psicoattiva molto apprezzata dagli specialisti ma “bistrattata” per l’uso illecito sempre più diffuso. 

Troppo stigma sul Ghb. Dal sito AboutPharma un interessante articolo

Alcover_Gamma-Hydroxybutyric_acid

Non chiamatela “droga dello stupro”. Prima di tutto perché dati scientifici alla mano l’acido gamma-idrossibutirrico – meglio noto come Ghb – non lo è. O per lo meno non più di altre sostanze e farmaci ben più noti, come alcol e benzodiazepine. Che la definizione sia impropria è confermato dal fatto che dati e ricerche hanno esaminato le molecole più usate in casi di violenza sessuale. “Negli studi internazionali la media dei riscontri del Ghb non supera mai il 5% dei casi” riporta nella sua pagina Facebook Psicoattivo, Stefano Canali, dottore di ricerca in Logica ed Epistemologia e insegnante di Historical and Philosophical Foundations of Neuroscience e Storia della Scienza presso la Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste (Canali è anche docente di Storia della scienza della mente all’Università Roma Tre).

Le “vere” sostanze dello stupro

Proprio l’alcol, infatti, è la sostanza maggiormente presente nelle violenze a sfondo sessuale, rilevato con una percentuale che oscilla tra il 43% e l’80% dei casi a livello internazionale. “Altre sostanze legali molto comuni nelle vittime di stupro sono le benzodiazepine, come Valium, Xanax o Rohypnol, presenti mediamente in percentuali tra circa il 16% e il 30% dei casi” continua Canali. “Un riscontro relativamente più scarso è quello per le sostanze illegali o sottoposte a controllo come la cocaina, le amfetamine, l’ecstasy, la cannabis, la ketamina, l’eroina e altri oppioidi, le cui percentuali variano maggiormente su scala internazionale. La cannabis per esempio oscilla tra il 9% e il 20% (fino a circa il 30% negli Stati Uniti), seguita dalla cocaina con circa il 7%-14% dei casi e infine dall’ecstasy e dagli oppioidi”.

L’origine dell’equivoco

Di primo acchito si può obiettare che il Ghb ha una velocità di metabolizzazione molto elevata che ne consente l’eliminazione dall’organismo in tempi brevi, tanto che se le analisi per la ricerca della sostanza vengono condotte dopo 24 ore già non ve n’è più traccia (questo accade anche all’alcol però).
Eppure è il Ghb a essersi “conquistato” il titolo di droga dello stupro “perfetta”, complici anche una serie di caratteristiche che sulla carta la rendono tale. “È un liquido e si può aggiungere alle bevande, ha un’emivita breve, ha un effetto disinibente, miorilassante e dà una parziale amnesia retrograda.



Tutti effetti che la renderebbero una droga da stupro ideale, anche se poi in realtà non è così”. A confermarlo ulteriormente è Sarah Vecchio, medico tossicologo che ha lavorato in passato al Centro antiveleni di Pavia (Cav), ora in forza al Servizio per le Dipendenze patologiche (Ser.D dell’Asl di Biella). “Tra i 2011 e 2014 presso il Cav abbiamo condotto uno studio con il progetto Vard (Violence and date rape drugs) commissionato dal Dipartimento Politiche Antidroga per valutare la prevalenza di utilizzo di sostanze incapacitanti/droghe da stupro impiegate per perpetrare violenze sessuali in Italia e identificare i quadri clinici e le sostanze coinvolte. E la sostanza più riscontrata nei campioni biologici era comunque l’alcol”.

L’uso del Ghb in clinica

Un altro motivo per cui chiamare il Ghb “droga dello stupro” è non solo sbagliato ma anche controproducente, è che questa sostanza è da molto tempo impiegata come farmaco e il recente appellativo attribuitole dai media non fa che aggiungere un ulteriore stigma a quello già esistente attorno a malattie come le dipendenze. Il Ghb infatti ha anche diverse applicazioni in clinica tuttora in uso, tra cui il trattamento della dipendenza dall’alcol, la narcolessia e la cataplessia. Il suo primo utilizzo fu però come anestetico, in seguito agli studi di Henry Laborit medico e biologo francese che nel 1960 risintetizzò la sostanza identificata per la prima volta nel 1874 dal chimico russo Alexander Mikhaylovic Zaytsev.

Ghb come anestetico

Laborit era un chirurgo e alle prese con la ricerca di nuovi farmaci meno tossici da utilizzare come cocktail di anestetici prima delle operazioni chirurgiche, iniziò a studiare dapprima le possibili applicazioni farmacologiche dell’acido gamma-ammino-butirrico (Gaba), un neurotrasmettitore che inibisce le funzioni cerebrali e possiede quindi un naturale effetto sedativo e ansiolitico. Solo in seguito prese in considerazione il Ghb allo stesso scopo: il Gaba infatti non riusciva a penetrare nel cervello, perché bloccato in ingresso dalla barriera ematoencefalica, e venne ben presto abbandonato, mentre il Ghb fu testato con successo come anestetico, perché permetteva di ridurre la sedazione con altri farmaci pericolosi per la vita.

Grazie a tali studi il Ghb entrò subito in clinica come sedativo, miorilassante e ipnotico. Non solo, il medico francese nel 1963 dimostrò anche che il Ghb era naturalmente presente nel cervello degli esseri umani e quasi venti anni dopo, nel 1982, che il cervello umano possedeva recettori specifici. “Il Ghb è una sostanza endogena, naturalmente presente nel nostro organismo che agisce sul sistema/recettore del Gaba” aggiunge Vecchio. “È un neuromodulatore perché a seconda della dose può avere effetti diversi, ma in generale possiamo dire che è un neurotrasmettitore con un’azione deprimente sul sistema nervoso centrale”. Il Ghb inoltre è coinvolto nel rilascio di differenti neurotrasmettitori come dopamina, serotonina e oppioidi endogeni.



Gli effetti sul sonno

Nel corso dei suoi studi preclinici Laborit notò anche un altro effetto farmacologico del Ghb: “Era in grado di aumentare il sonno a onde lente e di prolungare e consolidare gli episodi Rem legati alle manifestazioni del sogno” aggiunge Canali. “Fondamentali per l’effettivo riposo e per il normale svolgimento di una serie di funzioni cognitive ed emotive”. Una peculiarità rispetto ad altri ipnotici come benzodiazepine ed etanolo che interferiscono con i normali stadi del sonno e diminuiscono il numero e la durata delle fasi Rem. Proprio tali requisiti ne fecero un farmaco di eccellenza per il trattamento dei disturbi del sonno, come la narcolessia, l’apnea da sonno e la cataplessia.

Le formulazioni autorizzate

In Italia nell’elenco dei farmaci autorizzati da Aifa, il Ghb compare sotto forma di sale sodico (il sodio oxibato) ed è autorizzato per il trattamento della narcolessia con cataplessia negli adulti. Come farmaco generico dispone di AIC attribuita ad Accord Healthcare, Aristo Pharma e As Kalceks. Xyrem è invece il brand di UCB Pharma alla dose di 500 mg/ml. E benché, come riporta il sito dell’Agenzia, non sia del tutto noto il suo esatto meccanismo d’azione, si sa che il Ghb è in grado di modificare l’architettura del sonno e di ridurre il sonno notturno frammentato. L’ipotesi è che il sodio oxibato favorisca le fasi ad onda lenta (delta) e stabilizzi il riposo notturno. “Somministrato prima di andare a dormire, incrementa gli stadi 3 e 4 del sonno, ne aumenta la latenza, riducendo la frequenza dei periodi di comparsa del sonno Rem”, come riporta la stessa Aifa. Ma potrebbero essere coinvolti altri meccanismi ancora da chiarire.

Il trattamento dei disturbi dell’alcol

La stabilizzazione del sonno non è l’unica applicazione clinica del Ghb. Sempre nella banca dati Aifa il sodio oxibato è registrato anche con il nome commerciale di Alcover, prodotto da Laboratorio farmaceutico C.T. alla dose di 175 mg/ml, in forma sempre liquida, per il trattamento della dipendenza dall’alcol. La storia dell’utilizzo del sodio oxibato o Ghb per trattare le dipendenze ha inizio nel 1966 all’Università di Cagliari, qui il celebre neuro-farmacologo Gian Luigi Gessa dimostrò che la sostanza poteva incrementare il livello cerebrale di dopamina. “La dopamina regola gli stati affettivi ed è associata ai processi motivazionali e all’esperienza del piacere, della ricompensa, della salienza degli stimoli” spiega oggi Canali. “Proprio il meccanismo della ricompensa cerebrale e i relativi processi di neuroplasticità, mediati dalla dopamina, sembrano costituire i principali meccanismi cerebrali alla base dell’abuso di droghe e delle dipendenze”.

Come il metadone

Partendo da questi presupposti Gessa e il collega Fabio Fadda, sempre a Cagliari, iniziarono a sperimentare il farmaco per il trattamento dell’alcolismo. Misero a punto un ceppo di ratti inbred (animali accoppiati fra discendenti degli stessi genitori, considerati geneticamente uguali e con una variabilità relativamente piccola nell’espressione di parametri biochimici e funzionali), che preferiva l’alcol all’acqua e che diventò il modello sperimentale per l’alcolismo. Su questo modello, negli anni ’80, dimostrarono che i ratti alcolisti erano capaci di ridurre l’ingestione di alcol se gli era somministrato il Ghb. “Nel 1989, Gessa, Luigi Gallimberti e altri collaboratori dimostrarono l’efficacia del Ghb nel trattamento della sindrome d’astinenza negli alcolisti in uno studio in doppio cieco condotto presso il Centro di Alcologia e Farmacodipendenza dell’ospedale di Dolo, in provincia di Venezia” prosegue Canali. Circostanza che spiega anche come l’efficacia del sodio oxibato nel controllo dell’impulso di bere e la sua attività alcol-mimetica, priva della pericolosa tossicità dell’alcol, ne fanno una terapia di sostituzione per gli alcolisti simile a quella realizzata con il metadone per la dipendenza da eroina.

L’approvazione

In Italia il farmaco viene approvato nel 1991 per il trattamento degli alcolisti e proprio per gli importanti studi condotti e la numerosità di trattamenti eseguiti, il nostro Paese è considerato pioniere nella terapia. “Numerosi studi in corso di trattamento e di tipo retrospettivo, oltre all’efficacia del sodio oxibato nella cura degli alcolisti e degli eroinomani, hanno dimostrato anche il suo elevato livello di sicurezza e tollerabilità”, aggiunge Canali. “L’uso clinico estensivo non ha infatti portato a gravi reazioni avverse, casi d’abuso e di intossicazione fatale, come evidenziato da diversi studi e rassegne, tra cui un lavoro del 2016 (A Brief Up-Date of the Use of Sodium Oxybate for the Treatment of Alcohol Use Disorder)”.

Gli utilizzi in diversi contesti

Dal 1991 l’Alcover è stato prescritto e utilizzato come farmaco dai medici che lavorano nei servizi per le dipendenze per il trattamento della sindrome da astinenza da alcol e per il controllo del craving. “È un farmaco di elezione, che non dà intossicazioni perché prescritto a una dose tale da non causarle e che tendenzialmente non viene abusato” conferma Vecchio anche membro del consiglio direttivo della Società italiana di tossicologia (Sitox), che proprio in queste settimane tiene il suo ventesimo congresso annuale. “Il farmaco ha un potenziale d’abuso ma in realtà la percentuale di persone che sviluppano una dipendenza è estremamente bassa. Anche perché l’assunzione avviene in un contesto controllato e all’interno di un rapporto medico-paziente tale che non si arriva a quei livelli. Il problema è se la molecola viene usata anche in altri contesti – sottolinea Vecchio – che non ci coinvolgono”.

Il dark web

Il Ghb, infatti, è utilizzato anche nei club e nel chemsex perché a basse dosi ha un effetto alcol mimetico, rilassante, disinibente e simile allo stato di ebbrezza. Ma si tratta di due “prodotti” differenti e non si può parlare di “misuso” del farmaco (cattivo uso) come tiene a precisare Vecchio. Uno, infatti, è il farmaco utilizzato all’interno di ambienti sicuri come ospedali e Ser.D e assunto dal paziente sotto controllo medico (e “dal sapore dolciastro che non permette di adulterare facilmente la bevanda di una persona in modo inconsapevole” commenta Vecchio). Altra cosa è la sostanza che proviene da canali illegali come il dark web. “Chi si occupa di dipendenza non ha la percezione di un mercato grigio o nero di Alcover” conclude la tossicologa. “Fuori dai servizi il medicinale non circola e nessuno dei pazienti riferisce di averlo mai acquistato da altri pazienti, cosa che invece succede con il metadone, farmaci agonisti ecc. Il sodio oxibato è un farmaco che è rimasto ‘trappola’ dell’uso del Ghb e del Gbl (vedi box ndr) acquistato tramite altre vie per pratiche non terapeutiche”.

La restrizione di Aifa

Nonostante, infatti, il medicinale sia usato per la cura della dipendenza da alcol dal lontano 1991, tre anni fa l’Aifa ne ha limitato l’indicazione per un ipotetico potenziale di abuso e per la carenza di dati. L’Alcover di conseguenza oggi è indicato per il solo trattamento della sindrome astinenziale acuta per una durata di sette, massimo dieci giorni, togliendo di fatto la possibilità ai medici di utilizzarlo anche per il trattamento delle fasi successive, come il craving (il desiderio di assumere una sostanza da cui si è dipendenti) e per prevenire le ricadute.

Una decisione che da subito ha fatto storcere il naso alle società scientifiche attive nel mondo delle dipendenze, che si erano espresse con perplessità in merito alla nota, e anche ai medici attivi nei Ser. D. Secondo Luigi Stella, farmacologo, presidente nazionale della Società italiana Tossicodipendenze (Sitd), inoltre, la decisione avrebbe dovuto tenere conto del parere degli esperti che in tutti questi anni hanno utilizzato il farmaco sul territorio su migliaia di pazienti e dei dati che – seppur disgregati – esistono a sostegno dell’efficacia dello stesso.



Differenze tra i vari Paesi

Come spiega Stella infatti benché il farmaco sia in uso da circa trent’anni, non sono mai stati fatti studi clinici con una grossa numerosità. “L’Alcover è autorizzato solo in Italia e in Austria, mentre soprattutto nei Paesi anglosassoni si trova in tabella 1, tra i prodotti che possono essere abusati o dare dipendenza” continua Stella. “Questo fa sì che seppur esistano moltissimi piccoli studi pilota, per la maggior parte italiani, l’Aifa ha ritenuto che non ci siano i numeri per dimostrarne l’indicazione anche per il craving. Ma in letteratura si trovano molti lavori pubblicati, anche non italiani, come per esempio la review di Keating (Sodium oxybate: a review of its use in alcohol withdrawal syndrome and in the maintenance of abstinence in alcohol dependence. Clinical drug investigation, 2014, 34.1: 63-80), che potrebbero essere sufficienti per dimostrarlo”.

Il trattamento degli alcolisti

Per correre ai ripari ora l’azienda che produce il medicinale ha proposto uno studio clinico in doppio cieco che deve coinvolgere circa 240 pazienti in tutta Italia. Come racconta Stella, lo scopo è valutare proprio l’efficacia del sodio oxibato per il trattamento degli alcolisti e in particolare per il controllo, “la vera essenza della malattia” come precisa il clinico. Che aggiunge: “Durante la nostra pratica clinica quotidiana abbiamo registrato pochissimi casi di dipendenza da sodio oxibato, ma come avviene anche per molti altri farmaci nella farmacopea italiana quali le benzodiazepine. Anche nei nostri studi abbiamo evidenziato una piccola percentuale di abuso che può essere ulteriormente ridotta frazionando la dose del medicinale”. Un altro deterrente è affidare il farmaco a un familiare referente, in modo che in caso di abuso, il trattamento sia immediatamente sospeso. Inoltre il presidente della Sitd ricorda anche i casi in cui l’astinenza si protrae ben oltre i dieci giorni, arrivando anche a sei mesi (si parla di “astinenza protratta”) che non rientrerebbero nell’attuale indicazione prevista dall’Aifa.

L’impatto sui pazienti (e sui medici)

La restrizione dell’Agenzia italiana, quindi, ha messo in difficoltà chi si occupa di dipendenze, come confermano Vecchio e Stella. Secondo gli specialisti, il farmaco infatti aveva buoni riscontri tra i pazienti anche se usato a lungo termine. Inoltre, nonostante esistano altri medicinali con un’indicazione simile, i loro effetti non sono del tutto sovrapponibili e il sodio oxibato, sempre secondo gli esperti, resta il farmaco di elezione. Il che costringe i medici a prescriverlo off-label nei casi che lo richiedono, perché il fine ultimo è sempre la risoluzione del quadro clinico del paziente. Un’ulteriore difficoltà questa, per chi opera nel contesto delle dipendenze (di per sé già bistrattate).

Conclude Sarah Vecchio: “La situazione è difficile. Già affrontiamo un problema complesso anche dal punto di vista del rapporto con la società civile: medici e pazienti sono entrambi vittime di stigma e si fa fatica a far passare il concetto che la dipendenza da sostanza non è una debolezza ma una malattia vera e propria (e di certo il racconto dei media non aiuta). Se inoltre uno dei farmaci dall’uso più consolidato nel contrasto alla dipendenza da alcol, con alle spalle una letteratura scientifica decennale, è chiamato ‘droga dello stupro’ perché va di moda chiamarlo così, è un ulteriore colpo per i nostri pazienti”.

Gbl e doping

Oltre al Ghb è noto un suo precursore metabolico, il gamma-butirrolattone (Gbl), che rientra in altre sostanze chimiche impiegate nella produzione industriale di solventi e prodotti per sverniciare superfici. Oggi l’abuso di Ghb è associato anche a quello del Gbl che in alcuni Paesi non è illegale, anche se l’uso può essere punito a seconda della destinazione. Il Ghb, inoltre, tra i suoi effetti conta anche la capacità di stimolare la produzione dell’ormone della crescita correlata al sonno, capacità che l’ha reso famoso nell’ambiente del bodybuilding, dove si è diffuso come sostanza dopante.

Gli studi sulla depressione

ono stati fatti anche studi recenti per verificare l’ipotesi che il Ghb possa avere un ruolo nel trattamento della depressione. Le ipotesi di Laborit infatti spingono a ritenere che la molecola abbia una sua azione sul sistema cerebrale della ricompensa, nei processi di gratificazione legandosi quindi ai meccanismi di dopamina e serotonina. L’obiezione però, come ricorda Stefano Canali, è che possa indurre abuso proprio in virtù della forte azione sul sistema dopaminergico e della sua capacità di provocare un rilascio acuto di dopamina tipico delle droghe.

“Dal punto di vista razionale è sensato, come tutto ciò che aveva ipotizzato Henri Laborit” commenta Canali. Altri studi hanno valutato l’efficacia del Ghb nel trattamento della schizofrenia, della dipendenza da oppiacei e barbiturici, nell’intossicazione acuta da alcol. Per la sua capacità di ridurre i livelli di ansia, stimolare il sonno Rem e quindi il sogno, il Ghb ha trovato anche utilizzo nelle psicoterapie ad indirizzo analitico.

Dal sito AboutPharma



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