plasticità neuronale o neuroplasticità

Il nostro cervello è in continua evoluzione; nel corso della nostra vita infatti assistiamo ad una sua costante modifica. Questa peculiarità prende il nome di plasticità neuronale o neuroplasticità che consiste nella capacità del cervello, di modificarsi e plasmarsi.




Cos’è la plasticità neuronale o neuroplasticità

Il termine plasticità derivante dalla parola greca plassein, significa modellare, dare e prendere forma e rimanda quindi alla plastilina, materiale che può essere continuamente modificato, manipolato.

I neuroni dunque, possono rigenerarsi sia anatomicamente che a livello funzionale, stabilendo nuovi circuiti sinaptici.

Alla base della modifica neurale possono essere legati diversi motivi, ad esempio in età evolutiva il mutamento può essere dovuto ai nuovi apprendimenti o a traumi.

Per citare il padre della neurologia Eric Kandel “Siamo ciò che siamo in virtù di ciò che abbiamo imparato e che ricordiamo”.

La plasticità è un fenomeno molto complesso, ragion per cui esistono diversi tipi di meccanismi, tra questi il più notevole in termini di importanza è la plasticità sinaptica.

Le connessioni neurali formate durante i primi anni di vita, seppur siano meno elaborate, necessitano di una regolazione molto fine.

Quindi, oltre che nei singoli neuroni e nelle connessioni sinaptiche, la plasticità comporta anche importanti e profondi mutamenti dell’aspetto topografico delle aree cerebrali.

Inoltre grazie al contributo di Penfield ed ai suoi studi condotti durante la metà del secolo scorso è ormai cosa nota che il cervello è caratterizzato da mappe corporee e spaziali ordinate in maniera topografica, ragion per cui sappiamo che a punti contigui sul soma e nello spazio sono collegate regioni corticali adiacenti.

mappa corporea di Penfield
La mappa è una rappresentazione somatotopica dello schema corporeo dell’uomo che è stata sviluppata da Wilder Penfield nel XX secolo

Tutte le riorganizzazioni, come detto in precedenza, sono rilevabili durante tutto l’arco di vita e non sono da attribuire a fasi di sviluppo o maturazione del sistema nervoso.

A riprova di ciò numerose ricerche dimostrano che l’apprendimento di una abilità di tipo senso motorio ed il conseguente esercizio di una determinata parte del corpo, ripetuto nel tempo, si traduce in un maggiore ampliamento della rappresentazione di quel dato distretto corporeo nelle rispettive cortecce: somatica e motoria. Ad esempio, un musicista che utilizza in maniera indipendente e autonoma ciascun dito della mano sinistra,avrà una rappresentazione più ampia a livello corticale di quella mano rispetto alla sua mano destra.

Riabilitazione e plasticità neuronale

I cambiamenti a livello delle mappe corticali possono avvenire anche a causa di deafferenziazione, come può accadere nel caso di perdita di input visivi dovuti a cecità oculare.

Numerose ricerche dimostrano che il cervello dei mammiferi consta di un elevato numero di connessioni che hanno il compito di metterle in comunicazione tra loro. Pertanto un danno in una regione cerebrale ha importanti ripercussioni sia su siti adiacenti che remoti. In seguito a lesione l’eccitabilità delle aree remote è alterata, ne consegue un aumento di recettori eccitatori per il glutammato e una diminuzione dei recettori inibitori per il GABA.

Tutto ciò si può tradurre con la semplice ma efficace e diretta espressione: se non lo usi lo perdi.

I circuiti neurali sono altamente sensibili e modificabili; questi risentono della forte influenza del comportamento e dell’esperienza. Potremmo affermare che sono detentori di una memoria pratica di esperienza. A testimonianza di ciò basta pensare all’età dello sviluppo e al nostro personale database di apprendimenti.

La capacità di apprendere e rimodularsi è fondamentale per l’adattamento del cervello in seguito all’evento traumatico/lesionale, per cui a volte non è necessario ricorrere a specifici programmi riabilitativi.

In seguito a lesione due sono gli approcci comportamentali : apprendimento o compensazione. Le risposte autoapprese sono predittive rispetto al decorso, sono le risposte “fisiologiche” e le più efficaci.

Il trattamento riabilitativo deve essere impostato in maniera specifica per la funzione ormai deficitaria e ha effetto protettivo e stimolante rispetto alle capacità funzionali residue.

La possibilità di apprendere è però assoggettata non solo al nostro livello attentivo, ma anche al nostro stato emotivo; situazioni di felicità e serenità favoriscono l’apprendimento poiché tali condizioni implicano il rilascio di neuromodulatori come l’acetilcolina.



Neuroplasticità e trauma

La neuroplasticità entra in gioco anche per aiutare il superamento di un trauma, creando delle vie alternative; è come se il nostro cervello dicesse “se proprio non posso proseguire cambio strada”.

Occorre precisare che cambiamenti stabili si possono instaurare solo se vi è un training intenso e che le evidenze sperimentali mostrano che l’invecchiamento si accompagna ad alterazioni dei meccanismi di plasticità neurale dovuti a una diffusa atrofia sinaptica e neuronale, soprattutto a carico delle regioni cerebrali prefrontali.

Recuperi funzionali avvenuti in un periodo di tempo molto breve a volte possono essere spiegati in base allo “smascheramento”o disinibizione di neuroni che erano precedentemente non attivi.

Gli studi di Hubel e Wiesel iniziati a partire dal 1962 furono illuminanti per la comprensione del legame che intercorre in età evolutiva tra l’esposizione a stimoli specifici per una data funzione e la rapida acquisizione che porta ad un raffinamento e consolidamento della funzione stessa. Questa funzione è di notevole importanza ai fini adattivi perché consente di espandere il proprio repertorio di capacità e un maggiore adattamento all’ambiente e alle sfide che si prospettano.

Neuroplasticità e psicoterapia

Il nostro cervello è paragonabile ad un circuito automobilistico molto complesso; appare come una rete intrigata di scambi e riflessi tra le varie strutture. Questo circuito però può subire delle ripercussioni molto importanti in caso di ingorghi o comportamenti disadattivi.

Tutto il disagio che ne consegue porta inevitabilmente a comportamenti e stati d’animo lesivi per la persona che non riesce più a trovare la giusta collocazione nella sua vita. Il malessere psicologico provoca un malfunzionamento delle funzioni mentali portando a una perdita del benessere e della salute mentale.

Numerose ricerche riportano che si può attuare un cambiamento di rotta e che questo è possibile attraverso la cura della parola, ovvero attraverso un trattamento psicoterapico.

Questa nuova rivalutazione rappresenta una svolta epocale rispetto a ciò che conosciamo della mente umana; i processi psicologici e cognitivi non necessitano dell’uso esclusivo di interventi farmacologici ma è possibile plasmare il cervello attraverso i contenuti che la mente stessa produce, attraverso l’ascolto guidato di se stessi.

È la mente che crea e trasforma se stessa.



Lo scambio costante tra paziente e terapeuta produce una riorganizzazione cerebrale. Orientamenti psicoterapeutici, come ad esempio la psicoterapia cognitivo comportamentale, sostengono che vi sia una forte correlazione tra pensieri, emozioni e comportamento; ragion per cui pensieri negativi o credenze disfunzionali possono portare a vivere male non solo il qui ed ora, ma a effettuare erronei investimenti affettivi e comportamentali rispetto al futuro. Lavorando sul pensiero è possibile modificare non solo la percezione del nostro mondo, ma avere una maggiore influenza sull’andamento della nostra vita. Rivedere gli schemi cognitivi, consente di avere maggiore padronanza su noi stessi e, in situazioni come ad esempio i disturbi d’ ansia, lavorare bene su questi aspetti è un ottimo predittore di riuscita del trattamento.

Tutte le considerazioni affrontate finora, seppur in maniera semplice, permettono di affermare che il cambiamento dei nostri processi psicologici ha una forte eco nelle strutture neurali e che è tanto forte da poter risuonare e plasmarle.

Questi cambiamenti sono osservabili e quantificabili, permettono un rafforzamento delle sinapsi e queste modifiche sono riscontrabili e durevoli nel tempo.

Tutto questo è possibile grazie a quanto detto in principio, ovvero che il nostro cervello è modificabile, che la mente umana è la risultante delle esperienze vissute e che, facendo tesoro di queste, si autoplasma rafforzando le sinapsi e salvaguardando se stessa, un po’ come fa chi va sui pattini e si munisce di ginocchiere per salvaguardare e potenziare un punto su cui ricorda di aver avuto un piccolo trauma.

Le evidenze riportate in letteratura suggeriscono che, il potenziamento in terapia è possibile solo se vi è una buona relazione terapeutica tra psicoterapeuta e paziente.

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