Therapy Speak : cos’è e possibili rischi.
Quando si parla di benessere e in particolar modo di salute mentale, il linguaggio può sembrare complesso, ricco di sfumature e talvolta persino ostico per chi non ne è esperto. Un tema che emerge frequentemente nelle discussioni riguardanti la salute mentale, fa riferimento all’espressione “therapy speak“.
Ma cosa significa esattamente “therapy speak” e perché se ne parla?
Con questo articolo approfondiremo il concetto di linguaggio terapeutico, il suo significato e come questo possa essere al tempo stesso, sia un valido strumento di guarigione sia una potenziale barriera ad una comunicazione sana e produttiva.
La maggiore consapevolezza del concetto di salute mentale, ha consentito la diffusione di un fenomeno potenzialmente rischioso: il therapy speak.
Con questa espressione si intende l’utilizzo di termini tecnici di uso medico e/o psicologico in un contesto non appropriato e l’utilizzo da parte di persone prive di competenze o specializzazioni nel campo.
Di recente la frequenza con cui si assiste al fenomeno è davvero elevata; infatti durante le conversazioni quotidiane avviene “un’appropriazione indebita” di termini propri della psicologia e più nello specifico della psicoterapia.
Il linguaggio terapeutico della salute mentale confluisce nel vocabolario di uso comune; si utilizzeranno termini tecnici con superficialità e senza formazione specifica per descrivere, ad esempio, un proprio stato mentale o quello di qualcun altro. Durante una normale conversazione, saranno adoperate parole come: limiti, abuso, psicopatico, rimozione o trauma.
Cos’è davvero “therapy speak” e quali sono le possibili conseguenze?
Boundaries, love bombing, trauma, narcisisti patologici rappresentano solo alcuni dei termini rintracciabili nei vari social o nelle conversazioni che riguardano la quotidianità di ciascuno di noi.
Alta è la probabilità che, anche se non si è mai entrati nello studio di uno psicologo, sicuramente ci si sia confrontati con termini tecnici così come, è probabile che alcuni di questi siano riscontrabili scrollando i feed dei social o facendo zapping sul televisore .
Il therapy speak non è più ad uso esclusivo dei professionisti della salute mentale, ma è costantemente preso in prestito per descrivere le nostre relazioni quotidiane.
Significato di therapy speak e diffusione
L’ espressione Therapy speak, è traducibile come “linguaggio terapeutico” ed è noto anche come therapy talk.
Questa definizione ha l’intento di precisare che si tratta di un linguaggio che fino a poco tempo fa era esclusivamente utilizzato in ambito psicoterapeutico e che solo recentemente è penetrato nella nostra vita quotidiana.
In diversi contesti si parla con troppa superficialità di “stabilire limiti salutari”, “red flag”, “meccanismi di coping”, si denunciano comportamenti “tossici” (come il gaslighting) o vi è la tendenza ad attribuire caratteristiche e comportamenti tipici di alcuni disturbi della personalità, come nel caso del “narcisismo patologico” in maniera repentina e senza cognizione di causa.
Diffusione del terapy speak
La diffusione di questa espressione dipende principalmente da due fattori:
- maggior accessibilità verso percorsi terapeutici (numero crescente di persone che intraprendono percorsi psicoterapici) grazie a una maggiore consapevolezza dell’importanza della salute mentale.
- massiccia condivisione, da parte di professionisti del settore, di concetti e termini del linguaggio terapeutico sui social media.
Tutto ciò rappresenta un’arma a doppio taglio, infatti, questa maggiore attenzione alla salute mentale è un fattore positivo perché porta alla ricerca del benessere ed a una maggiore consapevolezza, ma di contro l’irruzione del linguaggio terapeutico all’interno del vocabolario quotidiano rappresenta un potenziale rischio.
Il therapy speak, se utilizzato da chi ne possiede competenze, consente di approdare verso un linguaggio condiviso atto a comprendere meglio noi stessi, le esperienze di vita e le situazioni che ci rappresentano.
Il rischio c’è nel momento in cui questi termini vengono fraintesi o divulgati in maniera errata.
Sui social o nella vita di tutti i giorni le persone riportano il therapy speak “pop” che apprendono da qualche profilo social armato di telecamera frontale e di una semplice e vuota ricerca effettuata su “Dottor”Google.
Tra i termini maggiormente abusati troviamo la parola “trauma”, la cui definizione legittima è: “una risposta emotiva a un evento terribile” ormai però “trauma” è diventato un termine generico, utilizzato per descrivere tutte le cose sconvolgenti o “trauma bonded”, è quindi usato erroneamente per descrivere il collegamento che si instaura tra persone che condividono una difficoltà.
Queste definizioni sono rischiose perché mettono a tacere la definizione clinica del termine, si perde il riferimento ad uno specifico modello di abuso, ovvero ad un forte attaccamento emotivo tra aggressore e vittima.
Si assiste quindi ad un uso improprio di questo linguaggio, all’utilizzato con estrema leggerezza di concetti molto pesanti come quello del “gaslighting” per descrivere situazioni più banali e quotidiane.
Le complicanze maggiori risiedono nel rischio di eliminare ogni sfumatura da una conversazione. Ad esempio inquadrando una persona come “narcisista” quando non lo è, potrebbe portare ad ignorare altri aspetti assai più rilevanti della relazione con quella persona, e quindi si rischierebbe di relazionarsi attraverso una modalità diversa poiché la caratteristica non corrisponderebbe al soggetto.
I tratti di personalità hanno svariate sfumature e i termini del linguaggio terapeutico indicano spesso i modi più estremi per descriverle.
Una persona può avere diversi tratti perciò é fondamentale evitare di patologizzare i comportamenti che non lo sono, anche se vengono percepiti come fastidiosi.
Secondo gli esperti il fenomeno di cui sopra sta diventando sempre più frequente al di fuori delle conversazioni cliniche, sebbene questo rappresenti un’enfasi positiva sulla salute mentale, può anche avere notevoli implicazioni negative.
Queste sono dovute all’uso errato di parole e frasi impiegate per descrivere fenomeni di salute mentale e questa gap linguistico può causare una rottura nella comunicazione.
La diffusione di questo linguaggio prospera su piattaforme di social media come Instagram e TikTok, in questi luoghi virtuali espressioni precedentemente utilizzate negli studi di psichiatri e psicologi, sono ora diffuse in conversazioni casuali con amici, familiari e colleghi.
Questo fenomeno si è espanso a partire dalla pandemia da covid, perché è aumentata la quantità di tempo che le persone passano sui social media.
Lo psicologo Albers-Bowling sostiene che: “…Il lato positivo è che dimostra davvero che le persone sono affamate di conoscere questi concetti e parole”,”…Come terapista, è stato intrigante ed emozionante che le persone abbiano svolto alcune delle proprie ricerche. Ma alcune persone usano le parole e le frasi cliniche nel modo sbagliato, il che può essere dannoso”,”…Lo svantaggio è che molte persone utilizzano questi termini complessi e ricchi di sfumature in modo errato”,”…Ciò può sembrare manipolativo o creare distanza tra due persone che hanno una conversazione importante”.
È estremamente dannoso dal punto di vista relazionale l’idea che durante una conversazione tra due individui uno dei due tenti di diagnosticare all’altro una condizione di salute mentale sulla base di una comprensione limitata di tale condizione.
Health Justin Puder, psicologo di Boca Raton sostiene: “…Vedo sicuramente persone che chiamano casualmente le persone narcisiste perché ad esempio hanno fatto del male a qualcuno”, “…Dobbiamo fare un passo indietro rispetto a questo”, “…Questa non è la prima volta che le persone usano parole e frasi che hanno connotazioni specifiche nel mondo della salute mentale per sostituire eventi quotidiani”, “…Ho notato che tende ad esserci una traiettoria di persone che abusano di questi termini”,”…negli anni ’90, se qualcuno era emotivo, veniva chiamato bipolare, oggi le persone tendono a sapere che essere emotivi non significa avere un disturbo bipolare, si spera che col tempo i termini oggi abusati seguano la stessa traiettoria”.
Come affermato in precedenza tra i termini maggiormente utilizzato vi è quello di “gaslighting”.
Il termine gaslighting definisce un tipo di manipolazione psicologica che si verifica spesso nelle relazioni intime violente e che porta la vittima a mettere in discussione la propria percezione della realtà.
Recentemente le persone hanno ritrovato un rifugio nel termine “gaslighting”, usato per definire la modalità che spinge ad evitare di riflettere sul ruolo che hanno avuto in una determinata controversia. Il termine viene utilizzato in modo errato quando consente di trovare una scappatoia e permette di evitare di osservare il proprio comportamento e trarne informazioni. Risulta quindi più facile dire: “Mi stai illudendo” piuttosto che assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
Altro termine abusato è quello di narcisismo.
Il disturbo narcisistico della personalità (NPD) è una diagnosi specifica che descrive il bisogno di ammirazione e la mancanza di empatia.
Oggi, molte persone in rete se ne appropriano per descrivere qualsiasi comportamento che sembra scortese.
Vi è un uso del termine “narcisismo” in senso lato.
Lo psicologo Puder afferma a tal proposito : “… Non credo che le persone capiscano quanto sia a lungo termine pervasivo un modello [il comportamento narcisistico].”
È fondamentale precisare che non si può dedurre una diagnosi di NPD guardando un video di 60 secondi, cosí come è impossibile riassumere in quel dato tempo un qualsiasi comportamento umano. Quando i termini “narcisismo” o “narcisistico” vengono usati in contesti pseudodivulgativi, nella migliore delle ipotesi sono a carattere speculativo.
Trauma
Gli ultimi anni hanno portato una maggiore attenzione sul termine trauma. Questa esigenza è sicuramente dettata da tutte le conseguenze imposte dalla pandemia.
Questa infatti, ha creato innumerevoli sfide per ogni essere umano. Alcuni si sono fissati sul concetto di trauma e su come si adatta o meno alle loro vite. “Alcuni dei ‘traumi’ [a cui le persone si riferiscono casualmente] sono spesso esperienze normali”, afferma Albers-Bowling. Ragion per cui, etichettare quelle normali esperienze come “traumatiche” può renderle più difficili da elaborare. Se qualcuno riscontra difficoltà nel parlare di un incidente che ha avuto un impatto significativo per lui, di sicuro potrebbe trovare giovamento dal parlarne con un professionista della salute mentale; questi, potrebbe aiutarlo a superare la sua esperienza.
DOC
Come il disturbo bipolare, il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è una diagnosi clinica che descrive una condizione che induce una persona ad avere pensieri e comportamenti incontrollabili e ricorrenti. (I pensieri vengono definiti “ossessioni”, mentre i comportamenti costituiscono la componente “compulsioni” della diagnosi). Come nel caso del narcisismo, molte persone si riferiscono a una singola azione o comportamento come “DOC”. Spesso, il disturbo ossessivo compulsivo in quella data persona non è mai stato diagnosticato, ma l’uso del termine lascia solleva il dubbio: “Avrà davvero il disturbo ossessivo compulsivo o starà solo passando un momento?” Riferirsi a un certo insieme di comportamenti come disturbo ossessivo compulsivo senza che sia stata diagnosticata la condizione non è solo errato, ma può anche stigmatizzare le persone che soffrono di tale condizione.
Automedicazione
Il concetto di cura di sé è di natura semplicistica. “La cura di sé significa prendersi cura delle cose di base: dormire a sufficienza, bere un adeguato quantitativo di acqua…coincide semplicemente con prestare attenzione a ciò di cui si ha bisogno”. Nella cultura popolare, soprattutto sui social media, l’espressione è spesso usata come sinonimo di privilegio socioeconomico. “Può essere uno status symbol”, ha aggiunto Albers-Bowling. “È spesso associato a giornate termali molto costose ed avere il tempo, i soldi e l’energia per farlo riflette qualcosa.” Nonostante le rappresentazioni contemporanee della “cura di sé”, gli esperti di salute mentale usano il termine per aiutare le persone a capire come poter soddisfare i loro bisogni primari.
Come orientarsi nella terapia?
Quando le persone incorporano le parole del therapy speak nel loro vocabolario quotidiano non commettono necessariamente un errore. Ad esempio se qualcuno utilizza un numero elevato di questi termini, la motivazione potrebbe risiedere nel fatto che la persona potrebbe essere in terapia, e quindi ciò potrebbe dipendere da un percorso di consapevolezza e psicoeducazione.
Per ragioni di chiarezza sarebbe opportuno chiedere alla persona con cui si sta parlando cosa intende quando usa queste frasi.
Secondo Puder, esempi di queste domande includono: “Come definiresti/ cos’è un narcisista?” oppure “Cosa intendi per “stile di attaccamento?”. A volte le definizioni che si otterranno saranno molto diverse l’una dall’altra.
Il quesito sorge spontaneo: “Il linguaggio che usiamo riguardo alla salute mentale si sta diluendo e inizia a perdere ogni significato? Stiamo abusando di termini utili senza rendercene conto?
Portare la salute mentale nelle conversazioni di tutti i giorni ha sicuramente visto progressi negli ultimi anni, con sempre più persone che riconoscono come parlare apertamente e condividere sentimenti e situazioni .
Una recente ricerca pubblicata sul Community Mental Health Journal ha effettivamente evidenziato che, condividere le nostre esperienze ci rende più disposti a cercare aiuto quando siamo in difficoltà, ci rende più consapevoli rispetto a dove dovremmo cercare quell’aiuto e ci rende più propensi a incoraggiare gli altri a cercare supporto quando li vediamo.
Qual è l’impatto dell’adozione dei termini utilizzati in terapia come parte del nostro vocabolario collettivo? Avere parole specifiche che tutti conosciamo, comprendiamo e possiamo usare non dovrebbe essere utile a tutti?
Cos’è la terapia? Il linguaggio terapeutico, o dialogo terapeutico, è usato per descrivere il linguaggio precedentemente riservato alla stanza della terapia, che è oggi penetrato nella nostra vita quotidiana. Parlare di stabilire confini sani, scherzare sui meccanismi di coping, denunciare comportamenti tossici, o parlare di trauma, possono essere tutti esempi di come i termini legati alla terapia siano diventati mainstream.
Utilizzare questi termini può essere positivo è ciò dipende dal contesto in cui ciò avviene.
Quando tutto inizia a essere considerato un campanello d’allarme, oppure se la brutta giornata di ogni amico viene vista come un ignorare i nostri limiti o essere indice di relazione tossica, se i ricordi leggermente diversi di un evento vengono chiamati gaslighting, e chiunque non metta i nostri bisogni al primo posto venga chiamato narcisista, può significare che, forse, non tutti comprendiamo appieno le frasi che usiamo. Questo uso superficiale può dare la sensazione che alcune parole, frasi e spiegazioni stiano perdendo il loro significato.
L’uso improprio di un termine può portare a disinformazione (ad esempio le persone fraintendono cosa sia il disturbo ossessivo compulsivo, quanto grave possa essere, o normalizzano comportamenti che in realtà sono segnali che hanno bisogno di aiuto) e a una percezione generale che “non è poi così grave” se tutti ne hanno qualche livello di esperienza con esso.
Stiamo assistendo, in questo momento storico, a conversazioni simili sulla neurodivergenza, con molte persone che lottano per vedere i problemi che può causare quando pensiamo a “tutti come un po’ neurodivergenti”. Ciò può finire per portare le persone che necessitano di ulteriore supporto a vedersi rifiutare l’alloggio, ad affrontare una mancanza di comprensione e a dover dedicare ulteriore tempo e impegno per educare gli altri sulla neurodivergenza e sulla neurotipicità.
Sebbene le persone possano provare a relazionarsi con buone intenzioni, o con l’intenzione di essere confortanti dicendo che non siamo tutti così diversi, si finisce per ignorare o minimizzare l’impatto negativo che i sistemi quotidiani, costruiti per la maggior parte delle persone, che non sono neurodivergenti o che soffrono di problemi di salute mentale, possono avere.
Questo non vuol dire che non dovremmo mai usare il linguaggio terapeutico. Se trovi utile applicare te stesso, le tue esperienze vissute o spiegare come ti senti, può essere un ottimo punto di partenza per saperne di più su dove puoi ottenere il giusto tipo di aiuto e supporto.
É importante ricordare che esiste una differenza tra una diagnosi e un’opinione.
Mantenere i termini terapeutici nelle nostre conversazioni quotidiane può essere utile, poiché più parliamo di terapia e delle nostre esperienze vissute, più le persone possono comprendere ed essere aiutate accedendo e utilizzando da sole questo linguaggio. Ragion per cui, occorre essere sicuri di utilizzare i termini nel modo giusto, nelle situazioni giuste e senza essere riduttivi rispetto alle esperienze degli altri. Naturalmente ciò non sostituisce una diagnosi clinica o il supporto di professionisti qualificati.
È importante ricordare che non è necessario un problema specifico per iniziare un percorso terapico. Il setting terapeutico fornisce uno spazio sicuro, privo di giudizi e riservato in cui aprirsi ed esplorare i propri sentimenti.