La malattia di Alzheimer

Alla scoperta delle complessità del Morbo di Alzheimer: un’analisi dettagliata della patologia e delle sue molteplici implicazioni

alzheimer

La malattia di Alzheimer (Alzheimer Disease, AD), la forma più diffusa di demenza, è un disturbo neurodegenerativo che colpisce le cellule nervose, in particolare quelle coinvolte nei processi di apprendimento e memoria. Allo stesso tempo, rappresenta anche un vero e proprio enigma per i ricercatori e una sfida per i medici, dal momento che ancora oggi non ne conosciamo le cause e, di conseguenza, non abbiamo una cura.

Nel nostro articolo parleremo proprio di questa terribile malattia, definendo quali sono i sintomi che permettono di identificarla in tempi precoci, quali sono le fasi che determinano il suo decorso e, infine, vedremo quali sono attualmente gli strumenti che vengono impiegati per cercare di contenerne l’aggravamento.




I primi sintomi della malattia: la perdita della memoria a breve termine

Se pensiamo alla malattia di Alzheimer, a tutti noi vengono in mente i danni alla memoria e infatti il sintomo preminente nei pazienti affetti da questo disturbo si presenta, in primo luogo, con la perdita di memoria a breve termine. Questo primo segnale iniziale evolve successivamente in una progressiva incapacità di svolgere anche le attività quotidiane più semplici, portando alla perdita di indipendenza e, alla fine, all’incapacità di riconoscere addirittura i propri familiari.

Uno sguardo all’interno del cervello: aggregati di Beta-Amiloide e danni multilivello

Ma come mai si innesca questa dinamica neurodegenerativa? Come dicevamo, non conosciamo esattamente cosa determini che un individuo inizi, a un certo punto, a sviluppare il disturbo e un altro no, ma sappiamo quali sono i correlati organici. Un’analisi dettagliata del cervello di un individuo affetto da Alzheimer, infatti, rivela neuroni sofferenti circondati da aggregati di una proteina dannosa nota come beta-amiloide. Questi agglomerati sono a loro volta circondati da cellule infiammatorie anch’esse pericolose.

Il decorso della malattia danneggia progressivamente il cervello su diversi livelli, che comprendono la degenerazione delle cellule nervose, danni ai vasi sanguigni e uno stato persistente di infiammazione cerebrale. Questo processo conduce al deterioramento dell’attività cerebrale, compromettendo la comunicazione tra neuroni e ostacolando la formazione di nuovi ricordi.

Dalle indagini sulle origini della malattia di Alzheimer, inoltre, gli studiosi sono riusciti a individuare un criterio di classificazione in due diversi gruppi.

Troviamo, infatti, una variante ereditaria, dovuta a mutazioni genetiche e caratterizzata da precocità di insorgenza. Costituisce circa il 10% dei casi e si manifesta di solito prima dei 60-65 anni.

La variante non ereditaria, invece, comprende il 90% rimanente dei casi e non è associata a cause specifiche riconoscibili. Sebbene l’età rimanga il principale fattore di rischio, questa forma si manifesta di solito dopo i 65 anni e mostra una certa tendenza familiare.

Il puzzle del decadimento neurologico: proteine e processi patologici

Il processo di decadimento neurologico alla base della malattia è intricato e coinvolge l’accumulo di aggregati della proteina β amiloide (Aβ) nel cervello. Questi aggregati variano in dimensioni e complessità strutturale, da oligomeri più modesti alle ben note placche senili. Studi recenti suggeriscono che gli oligomeri possano partecipare alle disfunzioni neuronali legate ai disturbi cognitivi correlati alla malattia.

Oltre agli accumuli di Aβ, un’altra caratteristica distintiva è la formazione di nodi neurofibrillari all’interno dei neuroni, composti da aggregati di una proteina denominata Tau. Questo processo coinvolge non solo i neuroni, ma anche le cellule gliali, che, stimolate dagli aggregati di Aβ, rilasciano sostanze nocive, innescando una risposta infiammatoria persistente nel cervello. Un ciclo distruttivo difficile da fermare.



Il decorso della malattia

Da questo momento, il decorso della malattia può essere molto variegato: a volte l’ingravescenza è improvvisa, mentre altre decorre più lentamente. In generale, però, possiamo dire che le fasi dell’Alzheimer sono tre, caratterizzate dall’entità del decadimento cognitivo che evolve da lieve a moderato, giungendo infine a uno stadio avanzato nelle fasi finali. All’inizio, segnali come l’attenzione ridotta, la dimenticanza degli eventi più recenti e le difficoltà nel linguaggio destano preoccupazione sulla possibile presenza della malattia. In seguito le difficoltà diventano evidenti e la persona perde sempre più autonomia.

La diagnosi: un labirinto complesso

Il processo diagnostico dell’Alzheimer è un compito intricato. Nonostante i progressi nelle valutazioni neuropsicologiche e l’uso di strumentazioni avanzate, la diagnosi definitiva viene effettuata solo dopo la morte, tramite l’esame autoptico del cervello, che conferma la presenza di placche senili e nodi neurofibrillari.

Identificare la malattia nelle fasi iniziali è arduo, poiché i danni neuronali iniziano molti anni prima dei primi segni visibili di declino cognitivo. In pratica, quindi, per quanto possa essere elevata la probabilità di accuratezza, la diagnosi in studio non può mai essere sicura al 100%.

Ma anche dopo che l’iter diagnostico si è concluso non è possibile prevedere cosa aspettarsi. Le persone colpite da Alzheimer possono sperare di vivere da 6 a 10 anni dal manifestarsi dei primi sintomi, ma questa variabilità è correlata al livello di assistenza fornita.

La causa principale di decesso è spesso legata a infezioni broncopolmonari, risultato del deterioramento delle difese immunitarie e dell’insufficienza respiratoria. Complicazioni come fratture o ulcere da decubito possono contribuire alla mortalità.

I criteri attuali per la diagnosi della Demenza di Alzheimer (AD), noti come criteri NIA-AA, sono stati elaborati nel 2011 da Guy McKhann. Ciò che rende questi criteri robusti è la loro capacità di combinare la diagnosi clinica di base, derivante da colloqui clinici e valutazioni dei segni distintivi della malattia, con l’indagine di biomarcatori. I biomarcatori sono parametri fisiologici, biochimici o anatomici misurabili in vivo, che possono riflettere specifiche caratteristiche legate al processo fisiopatologico sottostante la malattia. Questa integrazione consente una diagnosi più approfondita e accurata, incorporando sia l’osservazione diretta dei sintomi che l’analisi di indicatori biologici rilevanti.

I criteri NIA-AA classificano la demenza e successivamente si focalizzano sulla demenza causata da AD in “probabile” o “possibile”. Di seguito si riportano i dettagli:

Viene posta diagnosi di demenza, quando sono presenti sintomi cognitivi o comportamentali che:

  1. Interferiscono con l’abilità di svolgere il lavoro o le usuali attività
  2. Rappresentano un declino rispetto ai precedenti livelli di funzionamento e prestazione
  3. Non sono spiegati da disturbi psichiatrici
  4. Il deficit cognitivo è dimostrato e diagnosticato attraverso la combinazione di
    1. informazioni raccolte dal paziente e da persone che lo conoscono
    2. una valutazione oggettiva delle prestazioni cognitive, sia attraverso una valutazione clinica dello stato mentale che attraverso una valutazione neuropsicologica testistica
  5. La compromizzione cognitiva o le alterazioni comportamentali coinvolgono almeno due dei seguenti domini
    1. compromessa abilità di acquisire o ricordare nuove informazioni (ad esempio: domande o discorsi ripetitivi, smarrire oggetti personali, dimenticare eventi o appuntamenti,  o perdersi in itinerari conosciuti)
    2. Deficit nel ragionamento e nello svolgimento di compiti complessi, ridotta capacità di giudizio (i sintomi includono: scarsa capacità di comprendere di pericoli, incapacità di gestire le finanze,  scarsa capacità di prendere decisioni, incapacità di pianificareattività complesse o sequenziali)
    3. compromissione delleabilità visuospaziali (i sintomi includono: incapacità di riconoscere volti o oggetti comuni o trovare oggetti direttamente in vista nonostante una buona acuità visiva, incapacità di utilizzare semplici utensili o indossare vestiti)
    4. alterazione del linguaggio (parlare, leggere, scrivere)
    5. modificazioni nella personalità, nel comportamento e nella condotta



Criteri per la malattia di Alzheimer probabile

  • Esordio insidioso: i sintomi si sono manifestati gradualmente nel corso dei mesi
  • È evidente un peggioramento nelle performance rispetto al precedente livello di funzionamento, come descritto anche da un informatore (spesso un familiare)
  • Esordio con disturbi mnesici, da intendersi come difficoltà apprendere nuove informazioni o a richiamarle.

oppure

  • Esordio con disturbi non mnesici
  1. Esordio con disturbi linguistici, soprattutto nel trovare etichette lessicali corrette
  2. Esordio con sintomi visuo-spaziali: deficit della percezione caratterizzato dal mancato riconoscimento di oggetti, persone o delle parole scritte
  3. Esordio con sintomi disesecutivi: difficoltà di ragionamento e della capacità critica

Criteri per la malattia di Alzheimer possibile

  • Decorso atipico

Soddisfatti alcuni criteri di AD probabile, ma l’esordio dei sintomi potrebbe essere stato improvviso, oppure mancano dimostrazioni oggettive di declino cognitivo progressivo

  • Presentazione ad eziologia mista

– Soddisfatti tutti i criteri di AD probabile
– Disturbi cerebrovascolari concomitanti, oppure
– Caratteristiche tipiche di altra demenza (es demenza a corpi di Lewy body), oppure

– Evidenze di altre patologie neurologiche o commorbidità non neurologiche o possibile uso di farmaci con effetti sulla cognitivi

Trattamenti Farmacologici: tutti i limiti e le prospettive di sviluppo

In questo momento l’Alzheimer continua a sfidare la disponibilità di terapie farmacologiche in grado di arrestare o addirittura invertire la progressione della malattia. I trattamenti attuali si concentrano piuttosto sul contenimento dei sintomi, con particolare attenzione a pazienti in uno stadio lieve o moderato.

Tacrina, Donepezil, Rivastigmina e Galantamina sono alcuni dei farmaci utilizzati in quest’ottica, agendo come inibitori dell’acetilcolinesterasi. Questi agenti mirano a preservare la concentrazione di acetilcolina, un neurotrasmettitore carente nei pazienti affetti da Alzheimer, con l’obiettivo di migliorare la memoria. Inoltre, altri farmaci possono essere impiegati per gestire disturbi correlati come insonnia, ansia e depressione.

Il progresso nel campo del Morbo di Alzheimer ha stimolato una vivace ricerca per sviluppare nuovi farmaci, mirati a prevenire, rallentare e mitigare i sintomi della malattia. Laboratori di ricerca dedicati stanno testando nuovi principi attivi con l’obiettivo di rivoluzionare le attuali opzioni terapeutiche.

Un’altra frontiera di ricerca promettente è incentrata sulla risposta immunologica. Gli sforzi sono concentrati nello sviluppo di un vaccino per limitare la produzione di beta-amiloide, il peptide coinvolto nella formazione delle placche cerebrali. Tale approccio potrebbe aprire nuove vie per contrastare attivamente il decorso della malattia, innescando una risposta del sistema immunitario volta a mitigare i danni causati dalla presenza di beta-amiloide.

Terapie non farmacologiche: l’Importanza della Terapia di Orientamento alla Realtà (ROT)

Tra le diverse opzioni terapeutiche non farmacologiche per la demenza di Alzheimer, la Terapia di Orientamento alla Realtà (ROT) emerge come un approccio con evidenze di efficacia, pur se moderate. Questa terapia mira a orientare il paziente rispetto alla sua vita personale, all’ambiente circostante e allo spazio attraverso continui stimoli verbali, visivi, scritti e musicali. L’obiettivo infatti è quello di fornire al paziente un ancoraggio nella realtà, contribuendo a mantenere la connessione con l’ambiente circostante e preservando, per quanto possibile, la coerenza nella vita quotidiana.

Considerazioni finali: affrontare la complessità del Morbo di Alzheimer

In conclusione, la malattia di Alzheimer rappresenta un intricato labirinto di deterioramento neurologico, sfide diagnostiche e impatti significativi sulla vita delle persone colpite. Affrontare questa complessità richiede non solo una comprensione approfondita della malattia ma anche sforzi continuativi nella ricerca, nell’assistenza e nell’educazione per aprire la strada a soluzioni più efficaci e a un futuro con una migliore gestione dell’Alzheimer.



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