Sindrome hikikomori: un approccio psicoanalitico
Il modello presentato per spiegare la sindrome hikikomori, ideato da Pietropolli Charmet e Piotti, integra psicoanalisi e elementi di psicologia evolutiva
Il fenomeno hikikomori è stato descritto formalmente per la prima volta dallo psichiatra giapponese Takami Saitō (1998). La parola “hikikomori” deriva da “hiku” (tirare indietro) e “komoru” (ritirarsi), e si traduce testualmente con “stare in disparte, isolarsi, rinchiudersi” o, più semplicemente, con “ritiro sociale”. Si tratta in larga parte di adolescenti, ma anche di giovani adulti, che decidono volontariamente di non partecipare alla vita di società e che si rinchiudono tra le mura domestiche. Il fenomeno è presente in Giappone da decenni, ma con l’andare del tempo si è esteso ai paesi asiatici vicini come Cina e Corea e, ultimamente, anche in Europa, Australia e Stati Uniti (Li, Wong, 2015; Ricci, 2014).

In questo momento la letteratura accademica non concorda sui criteri diagnostici (Aguglia, 2016): alcuni studiosi preferiscono considerare il fenomeno come una sindrome o una condizione sociale, mentre altri prediligono l’uso di categorie nosografiche (Caresta, 2018; Chan, Lo, 2013; Ricci, 2015; Saitō, 1998). Per tale motivo esistono attualmente una moltitudine di modelli teorici e di intervento diversi e non standardizzati.
Secondo Kato, il ritiro sociale si esprime su un continuum che include problematiche di natura psichiatrica e problematiche di natura non psichiatrica. I tre criteri diagnostici principali proposti sono:
- Isolamento sociale marcato all’interno della propria abitazione: i soggetti escono di casa non più di tre volte alla settimana.
- Il ritiro sociale dura per almeno sei mesi.
- La vita del soggetto (salute, lavoro, relazioni ecc.) è compromessa dalla condizione di ritiro sociale.
Saitō (1998) riscontra nei soggetti hikikomori le seguenti caratteristiche: inversione del ritmo sonno-veglia, condotta violenta nei confronti dei familiari (in particolare della madre), fobia sociale, ritiro scolastico, pensieri suicidari o condotta suicidaria, apatia, umore depresso, mania di persecuzione, letargia, antropofobia.
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