NEUROBIOLOGIA DELLA DIPENDENZA

NEUROBIOLOGIA DELLA DIPENDENZA

DIPENDENZE PATOLOGICHE

La dipendenza da sostanze è un tipico esempio di interazione tra fattori genetici e ambientali nel quale l’influenza dei fattori genetici è largamente prevalente.
Studi di epidemiologia genetica condotti sui gemelli dimostrano che i fattori genetici contribuiscono per una percentuale che, a seconda degli studi, va dal 63% (Kendler et al, 2003) al 78% (Van den Bree, 1998) della varianza dell’abuso di cocaina. Simili percentuali si ottengono per altre sostanze d’abuso come la cannabis (Kendler e Prescott, 1998) e la stessa caffeina (Kendler e Prescott, 1999).

Al contrario dell’abuso e della dipendenza, il semplice uso di sostanze risulta determinato prevalentemente da fattori ambientali piuttosto che genetici. Nel caso della cocaina, l’uso appare dipendente solo per il 39% da fattori genetici e per il resto da fattori ambientali (Van den Bree, 1998). Lo stesso trend si osserva nel caso del semplice uso di cannabis (Kendler e Prescott, 1998).

Questa dicotomia dimostra la fondamentale differenza tra i meccanismi alla base dell’uso di sostanze e del loro abuso.

Un’altra importante osservazione degli studi di epidemiologia genetica sui gemelli è che il fattore genetico che contribuisce all’ abuso appare essere comune a tutte le sostanze d’abuso, indipendentemente dalla loro pericolosità e capacità di dare dipendenza e quindi indipendentemente dal fatto di essere categorizzate come droghe ‘pesanti’ o ‘leggere’ (Van den Bree et al, 1998; Kendler et al, 2003). Così, non è stato evidenziato alcun fattore genetico specifico per una specifica classe di droghe; al contrario, droghe caratterizzate da meccanismi d’azione primari molto diversi, come la cannabis e la cocaina o gli oppiacei, avevano in comune un unico fattore genetico (Kendler et al, 2003). Perciò, i fattori genetici che in un gruppo di individui determinano la vulnerabilità ad una classe di droghe sono gli stessi che in un altro gruppo di soggetti contribuiscono all’abuso di un’altra classe di droghe.

Questi risultati indicano che la dipendenza è determinata in larga misura da fattori costituzionali geneticamente trasmissibili comuni a tutte le droghe.

Tale conclusione è del tutto consistente con la nozione che la dipendenza è raramente ristretta ad una sola sostanza ma assume di regola le caratteristiche della politossicodipendenza (‘polidrug abuse’). Inoltre tale conclusione è in accordo con il fatto che la familiarità dell’abuso spesso si associa a disturbi della personalità e a disturbi psichiatrici (comorbidità, doppia diagnosi).


Proprietà comuni a tutte le sostanze d’abuso come determinanti genetici putativi della vulnerabilità alle tossicodipendenze


L’osservazione che esistono determinanti genetici della vulnerabilità alla tossicodipendenza comuni a tutte le droghe e a condizioni di interesse psichiatrico indica in maniera chiara la direzione nella quale indirizzare gli studi sui fattori genetici delle tossicodipendenze. Tali fattori andranno ricercati tra quelle caratteristiche che le droghe hanno in comune tra di loro e che sono importanti per la tossicodipendenza in generale. L’individuazione di tali fattori potrà costituire la base su cui indirizzare la ricerca di polimorfismi genici nell’uomo.

La constatazione che la tossicodipendenza mostra caratteristiche comuni indipendentemente dalla categoria farmacologica alla quale le droghe appartengono suggerisce da un lato il fatto che le droghe possiedano specifiche proprietà farmacologiche comuni e, d’altra parte, che sostanze dotate delle stesse proprietà farmacologiche possano avere in comune proprietà di indurre tossicodipendenza. La tossicodipendenza si configura come un disturbo della motivazione, che viene indirizzata in maniera compulsiva verso l’assunzione della droga, la quale fornisce la motivazione fondamentale al comportamento del tossicodipendente. Pertanto, una proprietà comune a tutte le droghe è costituita dalle loro proprietà motivazionali. Tali proprietà, tuttavia, si osservano anche in soggetti naive e non sono specifici dell’abuso e della dipendenza da sostanze dato che si esprimono anche nel semplice uso. È possibile tuttavia, che con l’uso ripetuto della droga, alcune proprietà ad esse comuni costituiscano la base per lo sviluppo dell’ abuso e della dipendenza. Nell’uomo i farmaci e le sostanze d’abuso hanno la capacità di provocare euforia ed elevare il tono dell’umore. Questa proprietà è particolarmente spiccata nel caso degli psicostimolanti come amfetamina e cocaina, che alleviano il senso di fatica e riducono la tendenza al sonno e la fame, aumentando la capacità di attività fisica e il desiderio sessuale. Nel caso di altre sostanze, come la morfina e suoi analoghi (eroina e metadone), dei barbiturici, dell’alcol e delle benzodiazepine, le proprietà euforizzanti possono essere oscurate da effetti deprimenti e sedativi tipici di queste molecole ma sono presenti soprattutto a dosi basse e nella fase iniziale dell’effetto farmacologico. Altre sostanze, come i principi della Cannabis e la nicotina, hanno proprietà psicostimolanti intermedie tra quelle degli psicostimolanti propriamente detti e delle sostanze con attività sedativa e deprimente.


Farmacologia comportamentale


La maggior parte delle sostanze d’abuso (tranne certi allucinogeni) ha in comune la proprietà di provocare stimolazione psicomotoria negli animali di laboratorio. Questo effetto assume aspetti diversi a seconda della specie animale ma in generale consiste in stato di allerta, aumento della reattività agli stimoli esterni, dell’attività locomotoria ed esploratoria. L’azione stimolante sul comportamento motorio degli animali è particolarmente spiccata nel caso dell’anfetamina e della cocaina, classici psicostimolanti, ma si osserva anche dopo assunzione di sostanze tipicamente
deprimenti come alcol, barbiturici e narcotici analgesici. Per tali sostanze, l’effetto psicomotorio si manifesta entro un determinato ambito di dosi e di tempi dalla somministrazione. Questo effetto stimolante sul comportamento spontaneo può considerarsi analogo all’effetto euforizzante che si osserva nell’uomo. Altra proprietà comune a tutte le sostanze d’abuso è quella di agire come rinforzo positivo, aumentando la probabilità di comportamenti che hanno come conseguenza la presentazione e l’assunzione della sostanza. Così gli animali di laboratorio si autosomministrano quelle stesse sostanze di cui l’uomo fa oggetto di abuso e per raggiungere lo scopo sono capaci di apprendere e attuare complicate procedure (comportamento operante). Questa proprietà delle sostanze di abuso si osserva non solo nei primati, ma anche in mammiferi meno evoluti filogeneticamente come i roditori. Ma le analogie tra l’uomo e l’animale non sono limitate alle proprietà generali di rinforzo delle droghe. In realtà le stesse modalità di autosomministrazione mostrano sorprendenti somiglianze. Così, l’animale da esperimento, preparato con cateteri impiantati cronicamente endovena e connessi ad una pompa ad infusione azionata dalla pressione di una leva, impara rapidamente ad iniettarsi l’eroina a intervalli regolari, secondo una cadenza che dipende dalla concentrazione del farmaco e ha come fine quello di mantenere un costante effetto farmacologico; l’anfetamina e la cocaina, due psicostimolanti, al contrario, vengono autosomministrate dall’animale da esperimento in maniera saltuaria, cioè a ‘tornate’ (binges) nel corso delle quali la frequenza delle somministrazioni viene aumentata fino a livelli talmente elevati da provocare uno stato di eccitazione comportamentale così intenso da essere incompatibile con una corretta autosomministrazione; ciò provoca un’interruzione della autosomministrazione fino a quando non siano cessati gli effetti del farmaco e il soggetto non si sia ripreso; allorché questo avviene, ha inizio un’altra tornata. Il fatto che gli animali manifestino nei confronti delle droghe un comportamento simile a quello dell’uomo indica che i meccanismi alla base della tossicodipendenza sono legati a proprietà biologiche la cui invarianza si è mantenuta nel corso di una lunga stagione filogenetica così da essere comuni all’animale e all’uomo.


Basi neurobiologiche


Il fatto che le sostanze d’abuso possiedano proprietà di rinforzo positivo suggerisce che esse agiscano su meccanismi comuni a quelli degli stimoli gratificanti naturali, come il cibo, l’acqua, il sesso. Lo studio delle basi neurobiologiche della motivazione prende le mosse, intorno agli anni Cinquanta del 20° secolo, dagli esperimenti di J Olds e P. Milner, i quali osservarono che ratti portatori di elettrodi cerebrali impiantati cronicamente e in grado di comandare il passaggio di corrente mediante la pressione di una leva, si autostimolavano quando gli elettrodi si trovano in corrispondenza di specifiche aree cerebrali. In altre aree, al contrario, l’animale evitava di autostimolarsi o premeva una leva per interrompere il passaggio di corrente. Altre aree, infine, apparivano neutre dal punto di vista motivazionale dato che l’animale non attuava alcun comportamento volto a ottenere o evitare la stimolazione cerebrale, ma si mostrava del tutto indifferente a essa. Le aree cerebrali da cui sono più facilmente ottenibili le risposte di autostimolazione sono situate lungo il decorso del fascio mediale del proencefalo. In questo fascio corrono neuroni che utilizzano neurotrasmettitori diversi, ma a svolgere il ruolo pricipale nel comportamento di autostimolazione sono quelli che utilizzano come trasmettitore la dopamina. Tali neuroni originano dal tegmento mesencefalico a livello di tre gruppi localizzati nel nucleo prerubrale (A8), nella substantia nigra pars compacta (A9) e nell’area ventrale del tegmento (A1O). I neuroni che originano dall’area A1O proiettano ad aree limbiche (nucleo accumbens septi, tubercolo olfattorio, amigdala, ippocampo, corteccia prefrontale prelimbica) e formano il sistema dopaminergico mesolimbico; i neuroni che originano dall’area A9 ed A8 terminano nel nucleo caudato-putamen e costituiscono il sistema opaminergico mesostriatale.

Proprietà dopaminergiche comuni a tutte le sostanze d’abuso


Tutte le più importanti sostanze d’abuso dagli analgesici narcotici, agli psicostimolanti (anfetamina e cocaina), alla nicotina, all’alcol, ai barbiturici e al d9-tetraidrocannabinolo, il principio attivo della Cannabis, hanno in comune la proprietà di aumentare la concentrazione extracellulare di dopamina in un’area terminale del sistema mesolimbico, il nucleo accumbens del setto (Di Chiara, Imperato, 1988) e in particolare nella sua parte ventro-mediale, la shell (Pontieri et al., 1996; Tanda et al., 1997). I meccanismi attraverso i quali le sostanze d’abuso sono in grado di aumentare le concentrazioni extracellulari di dopamina sono diversi a seconda della classe farmacologica cui ciascuna sostanza appartiene. Così la cocaina e la fenciclidina bloccano la ricattura della dopamina da parte delle terminazioni nervose, l’anfetamina libera la dopamina dalle terminazioni riversandola nel liquido extracellulare, l’eroina e altri narcotici morfino-simili (morfina e metadone), l’alcol, il d9-tetraidrocannabinolo e la nicotina, stimolano l’attività elettrica dei neuroni dopaminergici favorendo la liberazione fisiologica della dopamina. Evidentemente, la capacità di stimolare la trasmissione dopaminergica nella shell del nucleo accumbens costituisce una caratteristica fondamentale delle sostanze d’abuso (Di Chiara et al., 2004). A questa proprietà delle d. è stata assegnata una funzione fondamentale sia per i loro effetti acuti sia per i loro effetti a lungo termine, in relazione alla genesi della tossicodipendenza. La stimolazione della trasmissione dopaminergica nella shell del nucleo accumbens è il substrato degli effetti euforizzanti delle d. e della loro capacità di indurre uno stato di eccitazione incentiva che facilita il comportamento motivato da stimoli condizionati a rinforzi primari sia naturali (cibo, acqua, sesso) che farmacologici (droghe).

La liberazione di dopamina nella shell dell’accumbens da parte delle d. ha anche la capacità di facilitare l’apprendimento incentivo. In tal modo stimoli altrimenti neutri dal punto di vista motivazionale e quindi incapaci di attrarre l’attenzione e l’interesse del soggetto acquisiscono proprietà incentive del comportamento motivato, quando vengono opportunamente associati a stimoli gratificanti come i rinforzi primari come le droghe. Le droghe, pur avendo in comune con stimoli primari non farmacologici (per es., un cibo particolarmente gustoso) la proprietà di liberare dopamina nella shell del nucleo accumbens del setto non sono soggette, ad abitudine dopo esposizione ripetuta, al contrario degli stimoli naturali. A questa proprietà non-adattativa della stimolazione della trasmissione dopaminergica nella shell del nucleo accumbens da parte delle d. è stato attribuito un ruolo fondamentale nella genesi della tossicodipendenza (Di Chiara, 1998).
Le d. producono importanti effetti sulla dopamina anche dopo interruzione dell’esposizione (astinenza). Studi sugli animali di laboratorio hanno dimostrato nell’astinenza dopo trattamenti ripetuti con morfina, cocaina o alcol, una profonda depressione della trasmissione dopaminergica.

Questa si manifesta con riduzione delle concentrazioni extracellulari di dopamina nel nucleo accumbens e come sindrome depressiva caratterizzata da sedazione, riduzione della motilità e della reattività agli stimoli esterni e in un aumento della soglia all’autostimolazione elettrica del fascio mediale del proencefalo (un effetto considerato come indice di una ridotta capacità funzionale dei meccanismi centrali della gratificazione). Le modificazioni della neurotrasmissione dopaminergica e la relativa anedonia sono verosimilmente un aspetto di una condizione di

dipendenza della neurotrasmissione dopaminergica instauratasi come meccanismo adattivo alla cronica stimolazione della trasmissione stessa da parte della sostanza d’abuso. In tali condizioni il più efficace antidoto all’anedonia e alla depressione della trasmissione dopaminergica è la stessa sostanza verso cui si è instaurata la dipendenza o un suo analogo. Cosi si instaurerebbe un circolo vizioso che lega l’individuo alla sostanza d’abuso.

Basi molecolari


Le droghe e i loro principi attivi agiscono primariamente a livello del Sistema Nervoso Centrale come agonisti diretti o indiretti di recettori di membrana per i neurotrasmettitori fisiologicamente utilizzati dai neuroni per comunicare tra loro. Così, mentre l’anfetamina stimola indirettamente, attraverso la liberazione di dopamina, i recettori dopaminergici, l’eroina stimola direttamente i recettori oppioidi. Il segnale generato dalla stimolazione di questi recettori viene trasdotto dalla membrana cellulare all’interno della cellula attraverso la produzione intracellulare di molecole diffusibili, i secondi messaggeri (AMP ciclico, inositolo trifosfato, calcio), che a loro volta innescano una cascata di enzimi fosforilanti proteine (kinasi). I substrati proteici di queste kinasi sono molteplici e la loro fosforilazione può produrre effetti immediati (effetti comportamentali acuti) attraverso la fosforilazione di canali ionici voltaggio-dipendenti, ed effetti a lungo termine, attraverso la fosforilazione di proteine che diventano capaci di traslocare nel nucleo e di agire come fattori di trascrizione. Questi fattori di trascrizione (pCREB, pERK. pELK ) attivano la sintesi di una serie di fattori (geni immediati precoci, IEG) come il FOS, il June, che attivano a loro volta la trascrizione di altre proteine importanti per la neurotrasmissione (per es., la sintesi della preprodinorfina, il precursore di un tipo di oppioidi endogeni). Alternativamente o parallelamente, l’aumento del calcio intracellulare induce la liberazione di neurotrofine (BDNF, NGF, GDNF, FGF) che agiscono su recettori di membrana ad attività tirosinkinasica su vari substrati proteici. Si ritiene che l’attivazione da parte delle droghe di questa complessa cascata di fosforilazioni proteiche sia il substrato di processi di neuroplasticità sinaptica che si esprimono con varie modificazioni adattative indotte dalle droghe, come tolleranza, dipendenza fisica e sensitizzazione comportamentale. L’esposizione ripetuta alle droghe modifica la morfologia delle spine dendritiche; tali effetti sarebbero mediati dall’azione delle droghe sui fattori di trascrizione cerebrali e sarebbero a loro volta il substrato morfologico della sensitizzazione comportamentale. Tuttavia, la morfina e i farmaci psicostimolanti, pur producendo ambedue sensitizzazione comportamentale e modificando in maniera simile l’espressione dei fattori di trascrizione, provocano effetti opposti sulla morfologia delle spine dendritiche.

Analogamente, sia un’iperespressione che una completa delezione di un IGE come il Fos B nel nucleo accumbens del ratto producono sensitizzazione comportamentale. Non è comunque ancora possibile legare in maniera univoca gli effetti molecolari e morfofunzionali delle droghe ai loro effetti comportamentali.


Teorie della dipendenza


Si possono distinguere tre principali teorie della tossicodipendenza. Secondo la teoria del processo opponente la dipendenza è strumentale all’evitamento del malessere connesso all’astinenza causata dall’interruzione dell’assunzione di d. dopo una cronica esposizione ad essa (Koob, Le Moal, 2005). In tal modo la droga viene inizialmente consumata per i suoi effetti piacevoli, ma dopo esposizione cronica la sua mancanza produce uno stato di malessere psichico simile alla depressione melancolica che solo la d. può eliminare. La continua esposizione alla droga provocherebbe l’attivazione di un processo antiedonico che si oppone ai suoi effetti piacevoli. In mancanza della d. il processo opponente avrebbe come risultato quello di spostare in basso la regolazione del livello edonico individuale e del tono dell’umore, producendo uno stato di anedonia. Il soggetto sarebbe quindi costretto a consumare la droga per contrastare gli effetti antiedonici del processo opponente la droga. A meno di postulare un’irreversibilità del processo opponente, questa ipotesi, pur attraente, non spiega la durata pressochè illimitata della condizione di dipendenza psichica. Infatti, percorrendo in senso inverso lo stesso cammino attraverso il quale la d. induce dipendenza, il tossicodipendente dovrebbe poter facilmente ritornare alla condizione di non dipendenza. Per conseguire questo risultato basterebbe uno svezzamento con metadone a scalare.

È ben noto, al contrario, che questo trattamento, pur efficace nei confronti della dipendenza fisica, è privo di efficacia nei confronti della dipendenza comportamentale o psichica. Un’altra inadeguatezza di questa teoria è la difficoltà di spiegare il fatto che stimoli condizionati alla droga sono in grado di provocare craving anche dopo molti anni di astinenza. Secondo la teoria della sensitizzazione incentiva, la ripetuta esposizione alle d. produce una sensitizzazione della responsività del sistema neuronale della motivazione (sistema dopaminergico mesolimbico) (Robinson, Berridge, 1993). La sensitizzazione del sistema mesolimbico produrrebbe quell’abnorme aumento delle proprietà incentive di stimoli condizionati alla d. che, secondo questa teoria, costituisce l’essenza della tossicodipendenza. La teoria della sensitizzazione incentiva presenta anch’essa alcuni punti deboli. Una prima incongruenza deriva dal fatto che l’osservazione che l’esposizione alla d. induce sensitizzazione agli effetti incentivi della d. non estende necessariamente questa proprietà agli stimoli a essa condizionati. Inoltre, dato che il meccanismo della sensitizzazione è di natura non associativa, la sua azione dovrebbe applicarsi a tutti gli stimoli condizionati indipendentemente dal fatto che siano associati alla droga o ad altri rinforzi. Se così fosse il tossicodipendente dovrebbe manifestare craving in risposta a qualsiasi stimolo condizionato.

Ciò tuttavia non corrisponde all’elevata specificità degli stimoli condizionati alla d. nell’indurre craving. Un’altro problema di questa teoria riguarda la proprietà delle droghe di indurre sensitizzazione comportamentale, che non si osserva nell’uomo. La teoria dell’apprendimento incentivo non fa derivare le abnormi proprietà incentive degli stimoli condizionati alla droga da un meccanismo non-associativo come la sensitizzazione, ma da un meccanismo di apprendimento associativo (Di Chiara,1998). Secondo questa teoria gli stimoli condizionati alla d. Acquisiscono eccessive proprietà incentive a causa di un abnorme processo di apprendimento incentivo che deriverebbe dalle caratteristiche peculiari della liberazione di dopamina nella shell del nucleo accumbens da parte delle droghe. Infatti questo effetto non è sottoposto, nel caso delle droga, ad abitudine. Ciò fa si che l’esposizione ripetuta alla droga rinforzi in maniera abnorme l’associazione tra droghe e stimoli a esse contingenti, così da conferire a questi stimoli eccessive proprietà incentive. Questa teoria, al contrario delle due precedenti, rende conto sia della ben nota specificità di stimolo del craving, sia della efficacia praticamente indefinita degli stimoli condizionati alla d. nell’indurre craving.


Il sistema dopaminergico come principale substrato genetico di vulnerabilità alla tossicodipendenza e comorbidità


Studi di epidemiologia genetica mostrano che gli effetti comportamentali dei farmaci ad azione centrale, ed in particolare gli effetti gratificanti e di rinforzo dei farmaci d’abuso, sono dipendenti da fattori individuali intrinseci al soggetto (set), di natura ereditaria ed acquisita, e da fattori estrinseci (setting) costituiti dal contesto e dalle modalità dell’esposizione del soggetto ai farmaci stessi.

Da questi studi è derivato il concetto che le proprietà intrinseche dei farmaci d’abuso, le caratteristiche individuali (set) e le circostanze dell’esposizione del soggetto ai farmaci (setting) costituiscano un sistema di fattori (cluster) dalla cui interazione dipende sia l’effetto acuto del farmaco stesso che le modificazioni a lungo termine da esso prodotte. Questo approccio trova nello studio della vulnerabilità alla tossicodipendenza una applicazione pratica ricca di sviluppi e applicazioni.

Un altro aspetto ormai diffusamente accettato dalla comunità scientifica è l’importanza del ruolo della dopamina (DA), in particolare di quella del sistema mesolimbico, nel meccanismo d’azione dei farmaci d’abuso e nei processi di apprendimento e di plasticità da essi indotti.

Un’aumentata sensibilità alle proprietà DA stimolanti delle sostanze d’abuso sembra essere alla base della capacità di acquisire un comportamento di autosomministrazione di sostanze d’abuso da parte di una popolazione di ratti outbred (non consanguinei) ed è stato ipotizzato che lo stesso meccanismo sia alla base della vulnerabilità alla tossicodipendenza nell’uomo (Piazza et al., 1989).

Tuttavia, il ruolo relativo di fattori genetici ed acquisiti in tali differenze interindividuali non è chiaro. L’impiego di linee di ratti inbred (consanguinei) e di linee psicogeneticamente selezionate rivela che sono i fattori genetici piuttosto che quelli ambientali il substrato delle differenze interindividuali nelle proprietà di rinforzo delle sostanze d’abuso in ceppi selezionati di animali da esperimento. Tale substrato potrebbe essere la stessa proprietà di stimolare la trasmissione dopaminergica nella shell e nel core del n.accumbens. Tale proprietà appare geneticamente determinata in linee di rattie di topi inbred o selezionati sulla base di specifiche proprietà comportamentali.

Due di tali ceppi di ratti sono rappresentati dai ratti Roman High Avoidance/iVerh e Roman Low Avoidance/iVerh. Questi ceppi di ratti consanguinei sono derivati da due linee di ratti psicogeneticamente selezionati sulla base della loro capacità di apprendere un evitamento attivo a due vie (Escorihuela et al,1999). Recenti studi, effettuati nel nostro dipartimento da Giorgi e coll. (in preparazione) indicano che la cocaina e la morfina attivano la trasmissione DA preferenzialmente nella shell rispetto al core del nucleo accumbens nei ratti RHA ma non nei ratti RLA (Giorgi et al., manoscritto in preparazione). Perciò, nei ratti Roman la reattività della DA ai farmaci d’abuso è geneticamente determinata e solo nei ratti della linea RHA la DA risponde alle sostanze d’abuso in maniera simile a quella dei ratti Sprague-Dawley (Pontieri et al,1995 and 1996; Tanda et al, 1997). Queste osservazioni suggeriscono che anche la variabilità interindividuale nella responsività della DA osservata da Piazza e coll. (1989) e da altri in ceppi di ratti non consanguinei possa essere geneticamente determinata piuttosto che acquisita. Correlata alla proprietà degli RHA di rispondere alla cocaina e alla morphine di stimolare preferenzialmemte la DA della shell è quella di sviluppare sensitizzazione in seguito ad una esposizione ripetuta alla covaina o alla morfina. Tale modificazione è associata ad una sensitizzazione della risposta della DA nel core del nucleo accumbens, mentre non si osserva alcuna modificazione oppure una leggera diminuzione dell’aumento di DA nella shell. I ratti RLA, al contrario, non vanno incontro a sensitizzazione nè comportamentale né biochimica (Giorgi et al.,in preparazione). Perciò, le modificazioni osservate nei ratti RHA sono del tutto sovrapponibili a quelle già osseravte dal nostro gruppo in ratti Sprague-Dawley non-consanguinei sensitizzati alla morfina, alla nicotina ed agli psicostimolanti (Cadoni and Di Chiara, 1999, 2000; Cadoni et al., 2000). Un altro modello caratterizzato da differenze genetiche nella responsività del sistema dopaminergico è costituito dai ratti inbred del ceppo Lewis e Fisher 344, nei quali i farmaci d’abuso provocano risposte differenti a livello della DA del NAc (Cadoni e DiChiara , in preparazione).Questi due ceppi sono diversamente sensibili agli effetti di rinforzo dei farmaci d’abuso in paradigmi di autosomministrazione. In questi paradigmi i Lewis acquisiscono più rapidamente e mantengono l’auto-somministrazione a dosi più basse di cocaina rispetto ai Fisher (Kosten et al, 1997).

Per quanto riguarda i topi, due ceppi inbred, i C57BL/6 (C57) e i DBA/2 (DBA), sono stati particolarmente utilizzati in studi mirati a valutare il ruolo dell’interazione tra genotipo ed esperienza nella modulazione degli effetti centrali e comportamentali delle sostanze d’abuso (Cabib, 1993; Puglisi-Allegra and Cabib, 1997; Ventura et al., 2004). I due ceppi C57 e DBA mostrano notevoli differenze di sensibilità alle proprietà gratificanti dei farmaci d’abuso in un paradigma di preferenza spaziale condizionata (CPP). I topi C57 sono estremamente suscettibili a sviluppare CPP dopo trattamento con anfetamina, cocaina o morfina, mentre i topi di ceppo DBA sono poco o per nulla sensibili a questi trattamenti (Cabib et al.2000; Orsini et al. 2004A; 2005). Queste differenze ceppo-dipendenti (set) vengono modificate dall’esperienza (setting). Infatti, se le condizioni di stabulazione degli animali vengono modificate, le differenze ceppo dipendenti svaniscono (Cabib et al., 2000). Inoltre,dati recenti indicano una maggiore suscettibilità dei topi di ceppo DBA al ripristino della CPP dopo estinzione (Orsini et al., 2004b). Vari studi indicano che la DA gioca un ruolo importante nell’interazione tra i tre fattori cluster (farmaco, set e setting). Innazitutto, la suscettibilità genetica alla CPP indotta da sostanze d’abuso sembra dipendere dall’aumento del rilascio di dopamina (DA) indotto dalle sostanze d’abuso nel NAc. Infatti, l’aumento del rilascio di DA indotto da anfetamina e morfina nel NAc dei C57 è maggiore rispetto a quello indotto nei DBA(Zocchi et al., 1998; Murphy et al., 2001; Ventura 2004). Inoltre, l’eliminazione di questa risposta centrale previene l’induzione di CPP da parte delle sostanze d’abuso nei topi di ceppo C57 (Ventura et al., 2003). In secondo luogo, variazioni delle condizioni di stabulazione alterano il rilascio di DA nel NAc dei DBA (Cabib et al., 2002). Terzo, meccanismi postsinaptici che coinvolgono i recettori dopaminergici del tipo D2 nel NAc mostrano forti differenze ceppo-dipendenti e sucettibilità nei confronti di manipolazioni dell’esperienza (Cabib et al., 1998). Infine è stata osservata una maggior sensibilità post-sinaptica all’anfetamina nella shell del NAc dei C57 mediata dall’attivazione dei recettori D1 (Conversi et al., 2004). Per quanto riguarda in particolare il ruolo specifico della shell e del core del NAc, studi recenti del nostro laboratorio (Cadoni et al, in preparazione) mostrano che tra i ratti inbred Lewis e Fisher, il ceppo più sensibile agli effetti di rinforzo dei farmaci in un paradigma di autosomministrazione, e cioè il ceppo Lewis, è anche quello più sensibile all’effetto stimolante dei farmaci sulla DA del core del NAc piuttosto che della shell. Al contrario, la proprietà di indurre
CPP e di promuovere l’autosomministrazione è correlata alla capacità di stimolare la DA nella shell (Cadoni et al in prep.). Questi studi indicano nel sistema dopaminergico mesolimbico che proietta alla shell del n. accumbens e nei sistemi neuronali ad esso connessi il substrato maggiormente indiziato come determinante genetico della vulnerabilità alle tossicodipendenze ed alla comorbidità psichiatrica.


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Gaetano Di Chiara
Dipartimento di Tossicologia, Università degli Studi di Cagliari

fonte: politicheantidroga.gov.it

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