LA VIOLENZA SULL’INFANZIA

LA VIOLENZA SULL’INFANZIA

INDICE

IL FENOMENO DELLA VIOLENZA SULL’INFANZIA

La definizione di violenza sull’infanzia sembra qualcosa di complesso proprio perché ha diverse dimensioni che vanno prese in considerazione: l’intenzionalità, la natura della relazione e le aspettative (sociali ma non solo) connesse al rapporto adulto-bambino.

Maltrattamento: l’elemento caratterizzante il maltrattamento non è il danno fisico in sé ma la cornice relazionale e la natura della relazione che ha portato a quel danno . È l’intenzione di provocare dolore e il fatto che il gesto sia agito da un adulto su un bambino allo scopo di ferire, causando conseguenze visibili e non.

Il punto di riferimento in fatto di violenza sull’infanzia lo si ritrova nell’ articolo 19 della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC), che ne offre una definizione multidimensionale capace di racchiudere in essa dimensioni fisiche, sociali, psichiche e sessuali.

La CRC è il più importante atto di tutela a livello internazionale nel panorama contemporaneo. Innanzitutto perché definisce chi sia il fanciullo: un essere umano, maschio o femmina, con età inferiore ai 18 anni, salvo diverse indicazioni sulla maturità nella legislazione nazionale di riferimento. In secondo luogo, perché essa dichiara che il fanciullo debba essere effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari.

Inoltre la CRC afferma: “Stati parti adottano ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, per tutto il tempo in cui è affidato all’uno o all’altro, o a entrambi, i genitori, al suo tutore legale (o tutori legali), oppure a ogni altra persona che abbia il suo affidamento” .




La necessità di definire così puntualmente le tipologie di violenza possibili serve a chiarire di cosa si stia trattando, al fine di supportare gli stati nello sviluppo di strategie di prevenzione e fronteggiamento adeguate.

La Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza sancisce così i diritti primari del fanciullo: il diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo, il diritto a un nome e a una cittadinanza, il diritto ad aver preservata la sua identità e le sue relazioni familiari, a non essere sottratto ai propri genitori contro la sua volontà.

Si ritenne indispensabile realizzare uno studio sulla violenza sull’infanzia, capace di fotografare il fenomeno e di fornire indicazioni per supportare i paesi firmatari nell’ implementazione di azioni adeguate a fronteggiare il fenomeno. Così l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite richiese, su indicazioni del Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia, la realizzazione di uno studio, che viene commissionato a Paulo Sérgio Pinheiro.

Il “World report on violence against children” venne presentato nel 2006 alla Assemblea Generale ed esso, in estrema sintesi, raccontò il carattere diffuso a livello globale della violenza sull’infanzia, dimostrandone la presenza e pervasività sia nei paesi a forte industrializzazione e maggior ricchezza sia nei paesi con maggior povertà. La violenza sull’infanzia, a prescindere dal livello di istruzione, dal grado di ricchezza, dalla fede religiosa, sembra pertanto essere un fenomeno trasversalmente presente a livello globale.

Un altro dato fondamentale rivelato dal World Report è che la violenza sull’infanzia resta un fenomeno comunemente approvato o, in alcuni casi, esplicitamente legale.

  • Tra l’80% e il 98% dei bambini nella popolazione mondiale è vittima di qualche forma di punizione corporale a casa e 1/3 di questi è vittima di violente punizioni corporali. (studi del 2007)
  • Nel 2015 all’incirca 1,7 miliardi di minorenni nel mondo avevano fatto esperienze di violenza interpersonale nel corso dell’anno precedente. Fra questi 1,3 miliardi di bambini e bambine hanno fatto esperienza di punizioni corporali a casa, 261 milioni sono stati vittime di violenza fra pari nelle scuole, 100000 sono stati vittime di omicidio, 18 milioni di ragazze tra 15 e 19 anni hanno avuto esperienze di abuso sessuale

TIPI DI VIOLENZA SULL’INFANZIA

  • VIOLENZA FISICA: fa riferimento a tutte le pratiche che includono forza fisica (punizioni corporali, ma anche violenza sessuale, violenza domestica e così via)
  • MALTRATTAMENTO: fa riferimento alla violenza fisica, sessuale, psicologica ed emozionale, includendo anche le punizioni violente e i comportamenti negligenti verso bambini e adolescenti da parte dei genitori, tutori e adulti di riferimento
  • VIOLENZA SESSUALE: comprende ogni atto sessuale o comportamento volto a ottenere un atto sessuale, indesiderate avance o commenti sessuali e atti coercitivi che mirano a sfruttare la sessualità di una persona. Forme di violenza sessuale comunemente riconosciute: 1) violenza sessuale che coinvolge rapporti sessuali (es. lo stupro), 2) violenza sessuale di contatto (es. tocchi indesiderati, esclusi i rapporti), 3) violenza sessuale senza contatto (es. violenza sessuale minacciata, molestie sessuali verbali…)
  • INTIMATE VIOLENCE: violenza agita all’interno della coppia di partner (se presenti coinvolge anche i figli)
  • VIOLENZA EMOZIONALE O PSICOLOGICA: include tutto ciò che genere intenzionalmente sofferenza emotiva (come limitazione dei movimenti, denigrazione, messa un ridicolo, comportamenti volti a spaventare, intimidire, discriminare, rifiutare l’altro…)
  • VIOLENZA ASSISTITA: si riferisce al far assistere, o non evitare di far assistere, al bambino ogni atto di violenza verso altre persone o animali.
  • BULLISMO: è un comportamento aggressivo indesiderato da parte di un altro minorenne, o di un gruppo di minorenni, che non sono né fratelli né in una relazione romantica con la vittima. Comporta ripetuti danni fisici, psicologici o sociali e spesso si svolge nelle scuole o in altri ambienti in cui i minorenni si riuniscono, compreso online (cyberbullismo).
  • VIOLENZA GIOVANILE: si verifica soprattutto tra i bambini e i giovani di età compresa tra i 10 e 29 anni, più spesso in contesti comunitari, sia tra conoscenti che tra sconosciuti. Include l’aggressione fisica con armi o senza armi e può riguardare anche la violenza tra bande.
  • MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI: sono tutte le pratiche che comportano la rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili o ogni forma di ferimento agli organi genitali femminili agita non per motivi medici

CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA

  • scarsa capacità di interiorizzare un insegnamento
  • scarsa qualità relazionale fra genitore e figlio
  • problemi mentali in età infantile e in età adulta
  • aggressività in età infantile
  • aggressività e violenza in età adulta
  • comportamenti delinquenziali e antisociali in giovane età
  • bambini vittime di abuso
  • compromissioni arrivata cognitive
  • bassa autostima
  • lesioni fisiche
  • scarsa capacità di interiorizzare un insegnamento morale
  • sofferenza psichica
  • difficoltà nell’istruzione



PERCHÉ SI COMPIE VIOLENZA?

Una reale battaglia contro la violenza non può non considerare le ragioni che spingono le persone ad agirla, per questo è importante comprendere da dove la violenza origina e perché sia così diffusa.

La violenza storicamente è vista come strettamente connessa al potere, viene indicata quale sua massima manifestazione, in un rapporto direttamente proporzionale secondo il quale maggiore è il potere e maggiore è la violenza possibile.

Un’altra visione di violenza connessa al potere potrebbe essere quella che vede la violenza attuarsi lì dove il potere di per sé vacilla, in forza o in significato, e si è spinti a metterla in atto per riaffermare e ristabilire il proprio potere.

Anche l’autorità è connessa al potere, ma non alla violenza. Essa ha come caratteristica principale quella del riconoscimento indiscusso da parte di coloro cui si chiede di obbedire. Non ci vuole né coercizione, né persuasione, né violenza, poiché per conservare l’autorità ci vuole solo il rispetto per la persona in carica.

La violenza dunque non è connessa all’autorità, piuttosto mantiene un carattere strumentale finalizzato a moltiplicare la forza di chi agisce il potere. E la sua natura strumentale fa sì che essa non possa esistere di per sé, fine a se stessa, ma ha sempre bisogno di una guida e di una giustificazione per giungere al fine che persegue.

Il potere non è mai solo individuale, ha bisogno di essere riconosciuto da parte di un gruppo che lo legittima e lo riconosce, tanto che nel momento in cui il gruppo dal quale il potere ha avuto origine scompare, allora anche il suo potere svanisce. Dato che la violenza è strumento del potere, e il potere viene riconosciuto dal gruppo, è lo stesso gruppo che legittimando quel potere, legittima di fatto anche la violenza.

Il gesto violento del padre sul figlio rimanda a una visione del potere dei padri che deve essere di tale forza da poter ricorrere anche alla violenza laddove necessario, e che in altro senso necessita della violenza perché non può contare sull’autorità.

L’utilizzo della violenza nell’educazione dei propri figli è un aspetto storicamente radicato nella nostra cultura e società. Inizialmente si trattava principalmente della punizione fisica, ma nel corso dell’ 800 questa viene gradualmente sostituita o affiancata a quella psicologica. Così lo schiaffo o la bacchetta vengono sostituite dalla privazione di un giocattolo o del cibo, dalla reclusione in camera, ecc..

Il sistema del “ricatto affettivo”, sempre più diffuso e basato sulla colpevolizzazione del trasgressore, esercita un condizionamento più penetrante di qualunque altra punizione corporale. Questo metodo si basa sulla paura di essere abbandonati che ogni bambino conosce e sperimenta, e che di fatto è legata proprio a quella intrinseca dipendenza fisica, affettiva ed emotiva del bambino alle cure di un adulto. È questa paura a essere facilmente messa al servizio dell’autorità adulta (anche inconsapevolmente) per minacciare, impaurire, obbligare i bambini a stare dentro i confini tracciati. Il bambino nasce dipendente dall’amore di chi per lui è madre e padre e la tolleranza verso quanto sarà da sopportare in cambio di quell’amore è illimitata. Proprio per questo motivo il bambino non è in grado di riconoscere la violenza come qualcosa di malvagio, attuato da quelle figure che dovrebbero proteggerlo e dargli amore incondizionato, ed è la dipendenza del bambino dall’amore dei suoi genitori che gli renderà impossibile anche in seguito riconoscere i traumi che spesso restano celati per tutta la vita.

Non è possibile per il bambino smarcarsi dalla storia di violenza in cui è inserito, a meno di non poter fare esperienza di un altro modo di stare nella relazione adulto-bambino. È necessario un adulto per poter aiutare quel bambino a scoprire che quella che va subendo è violenza. I servizi educativi e la scuola non sono infatti soltanto luoghi di educazione e apprendimento, ma sono anche contesti di vita dove le bambine e i bambini sperimentano e vivono l’essere in relazione, con altri adulti e con i pari. Laddove in famiglia le pratiche educative sono maggiormente segnate dalla violenza o dal non riconoscimento, questi contesti rappresentano preziosissime occasioni per fare esperienza del riconoscimento della propria dignità e per sapere che è legittimo anche per loro pretendere rispetto da parte degli adulti. Se invece la denigrazione caratterizza i gesti educativi sia in famiglia che a scuola, il rischio è quello di rafforzare il legame tra educazione e violenza e la costruzione nel bambino di una visione di sé come non degno di rispetto. Il primo passo della prevenzione passa proprio dalla costruzione di contesti educativi (siano essi scuole o servizi rivolti alla prima infanzia) come luoghi dove fare esperienza di non violenza, di rispetto e di riconoscimento della dignità di ciascuno in ogni piccola pratica agita, in ogni sua possibile declinazione.

LE PUNIZIONI CORPORALI

Le punizioni corporali sono l’esito di un’intenzionalità agita da parte di chi si trova in una posizione di potere dentro a una relazione asimmetrica; esse manifestano la volontà diretta di procurare dolore all’altro, di qualsiasi forma e natura.

Diventa complesso riconoscere come illegittima una qualsiasi forma di violenza vista o subita quando alle basi stesse delle principali relazioni di fiducia, quali quelle tra bambino e genitore o bambino e insegnante, si impara che il ricorso alla violenza è “per il tuo bene”, ed è per questo che simili pratiche non vengono percepite come qualcosa di davvero violento.

Inoltre ciò porta ad un implicito apprendimento transgenerazionale della violenza come metodo di educazione. Le punizioni corporali si trasmettono da genitore in figlio e finiscono per aprire come normali proprio perché sempre in uso, proprio perché le si è sperimentate direttamente e “non è mai morto nessuno”.

La dimensione di rischio che le punizioni corporali presentano sta soprattutto nella percezione diffusa che esse siano forme di violenza leggera. E questo fa sì che si innalzi il rischio di normalizzazione di tali pratiche, incrementando una sorta di tolleranza della violenza.

Se l’educare va inteso come un processo volto a rendere il soggetto responsabile della propria crescita, sempre più consapevole e padrone del proprio campo d’esperienza, allora la punizione segna il fallimento della strategia educativa adottata, dato che evidenzia l’impossibilità di accompagnare l’altro senza violarne il confine del corpo.

Punire come atto di propria volontà sul corpo altrui è certamente un atto educativo, poiché forma corpo e volontà, però non nella direzione di un ampliamento dell’orizzonte di possibilità, piuttosto come un insegnare che il corpo è violabile dalla volontà dell’altro, contro la propria volontà, in risposta a qualche comportamento che trasgredisce una qualche detta, o non detta, norma.

PREVENIRE L’UTILIZZO DI PUNIZIONI CORPORALI

Per poter prevenire l’utilizzo di tali pratiche con funzioni educative da parte degli adulti, è necessario:

  • Mirare alla formazione degli adulti (sia genitori, che educatori, insegnanti o operatori sanitari…) sostenendo quelle pratiche positive che riescono a limitare il ricorso a modalità educative e di interazione denigranti o violente.
  • Investire sul ruolo preventivo dei servizi: le istituzioni educative e scolastiche giocano un ruolo fondamentale nella formazione dei genitori. Educatori e insegnanti diventano un riferimento utile per le famiglie di fronte a momenti di smarrimento o a situazioni di particolare fragilità, che a volte sono la causa del ricorso alla violenza, fisica e non, in termini di punizioni.
  • Promuovere interventi diffusi di sensibilizzazione volti a eliminare le cause profonde della violenza, cioè promuovere una cultura non violenta.

La strategia per l’eliminazione delle punizioni corporali promossa dalle Nazioni Unite prevede degli interventi su più livelli:

  • L’adozione di specifiche e esplicite misure legislative a livello nazionale: avere leggi che riconoscano come reato l’utilizzo della violenza a scopi educativi, per sensibilizzare la società sull’illegittimità di tali pratiche
  • La messa in campo di azioni specifiche di sensibilizzazione della società: rendere gli adulti consapevoli delle conseguenze a breve e lungo termine del ricorso a tali condotte su bambini e bambine; necessità di agire a livello della società per diffondere una cultura diversa dell’infanzia
  • La progettazione di misure educative e di promozione culturale: le punizioni corporali restano inconciliabili con una prospettiva che sposi i valori della CRC e gli stati firmatari, impiegandosi a diffondere i principi della CRC, non possono sottrarsi dal fronteggiarle e disincentivarne l’uso. Ciò può avvenire con campagne di sensibilizzazione mirate e piani di investimenti culturali contro la violenza in generale e a favore della promozione di una visione dell’ infanzia coerente con una visione dei bambini/e come cittadini attivi della società.
  • L’individuazione di strategie di monitoraggio e valutazione: l’intera strategia della CRC si basa di fatto sulla necessità di un monitoraggio nazionale a livello territoriale e di un accordo costante tra i pesi e il comitato ONU.




LA PROSPETTIVA ITALIANA

Non esiste nel quadro legislativo italiano una definizione univoca di violenza sull’infanzia o di violenza sui minorenni, eppure i bambini e le bambine nel nostro paese godono di attenzione e tutela. Tale tutela deriva dalla nostra Costituzione, che proibisce ogni forma di violenza rivolta ai cittadini, precisando che tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge senza distinzioni di condizioni (inclusa l’età).

In Italia le punizioni corporali sono riconosciute come proibite in ambito scolastico e in ambito penitenziario, non esiste però alcuna legge che vieta espressamente il loro utilizzo nei contesti familiari.

La Dichiarazione sui diritti del bambino (la Dichiarazione di Ginevra) è il primo documento ufficiale sui diritti dei minorenni. Si tratta comunque di una dichiarazione e dunque di un’ attestazione di principi che non ha valore vincolante per gli stati aderenti, ma che testimonia i primi passi del diffondersi di un monito di protezione verso l’infanzia.

STUDI CHE INTERROGANO BAMBINI E ADULTI RIGUARDO ALLA VIOLENZA

  • BAMBINI: Uno studio interroga i bambini su cosa potrebbe essere fatto da parte loro e da parte degli adulti per far sì che le pratiche violente non vengano a riproporsi. Sebbene i bambini riconoscano lo schiaffo come qualcosa di non buono, perché appunto doloroso, e sebbene gli stessi dichiarino che gli adulti dovrebbero evitarli, le risposte raccolta sembrano ritrovare la causa della punizione violenta solo nei loro comportamenti e non nell’errata scelta degli adulti di farne uso (es. di risposta su cosa fare per evitare la violenza: “comportarsi bene e fare quello che ti viene detto di fare”). Oppure essi giustificano in qualche modo e chi li punisce riconoscendoli in consapevoli delle conseguenze e riconducendo tali pratiche a una sorta di tradizione educativa (es. “ devono essere stati schiaffeggiarti quando erano piccoli, sono cresciuti venendo schiaffeggiati e quindi pensano che sia giusto” oppure “ si ricordano di essere stati schiaffeggiarti ma non ricordano che fa male perché è stato tanto tempo fa e visto che sono cresciuti si sono dimenticati come ci si sente”)
  • ADULTI: Secondo alcuni studi circa i 3/4 dei genitori sono convinti che lo schiaffo sia un gesto prevalentemente violento e non un metodo da utilizzare nell’educazione dei figli. Tuttavia tra 1/4 e 1/5 dei genitori, con un picco per quelli con figli tra i 6 e i 10 anni, ritengono che lo schiaffo sia più un metodo educativo che non una forma di violenza (anche se pochissimi lo ritengono completamente educativo). La forza fisica non è insomma generalmente considerata una forma di punizione adeguata, a cui si preferisce l’imposizione di una certa limitazione della libertà (scelta da oltre il 50% dei genitori di tutte le fasce d’età), eppure essa resta comunque scelta in casi particolari: lo schiaffo è principalmente prodotto dall’ esasperazione e dallo spavento. Lo schiaffo pur senza spiegare il motivo dell’errore commesso, segnala efficacemente che un limite è stato superato: è la punizione estrema a cui far ricorso nel caso in cui tutti gli altri tentativi (dal dialogo ad altre punizioni) abbiano fallito.

Ciò dimostra una generale tolleranza verso alcune forme di punizione fisica, come lo schiaffo, che si radica nella cultura profonda del nostro paese.




CONTRASTARE LA VIOLENZA SULL’ INFANZIA

La lotta alla violenza sull’ infanzia passa attraverso una strategia integrata di prevenzione, promozione e protezione al tempo stesso.

STRATEGIA DI PREVENZIONE DELLA VIOLENZA SULL’INFANZIA:

Si tratta di una strategia che prevede l’integrazione di interventi su 3 assi:

  1. Formazione dei soggetti (adulti e minorenni) volta all’incremento delle capacità individuali : la convinzione di fondo di questo primo punto è che genitori e tutori adeguatamente informati e formati possano prevenire la violenza attraverso la creazione di un ambiente educativo e di vita percepito dai soggetti come sicuro è adeguato . Come viene applicato: programmi specifici di sostegno alla genitorialità e programmi in grado di attivare la comunità sul tema della violenza di genere, formazione degli operatori che lavorano con bambini e bambine, formazione rivolta a bambini/e e ragazzi/e riguardante alcune tematiche chiave quali il bullismo, il cyberbullismo, l’abuso sessuale e la violenza di genere.
  1. Messa in atto di strategie di prevenzione integrate nei servizi e nelle istituzioni : necessità di rendere i presidi sanitari dei punti di attenzione prioritaria, dotati di strumenti e competenze necessarie per rilevare i segnali della violenza contro donne e minorenni . I servizi sanitari e di primo soccorso sono gli unici a riuscire a intercettare bambini o donne feriti e/o aggrediti, per questo i loro operatori dovrebbero essere in grado di riconoscere i segnali di allarme e di attivare le procedure necessarie alla raccolta dei dati e all’orientamento dei pazienti. Inoltre la prevenzione a livello istituzionale riguarda la formazione degli insegnanti, affinché siano consapevoli del loro ruolo e sappiano come sostenere e ascoltare un minorenne che si trova in condizione di subire violenza. E ancora, la prevenzione a livello istituzionale passa attraverso il presidio delle telecomunicazioni e della sicurezza online, in cui l’obiettivo è quello di costruire spazi sicuri che consentano a bambini e bambine di sviluppare quelle competenze digitali che sono ormai necessarie.
  1. Interventi diffusi di sensibilizzazione volti a eliminare le cause profonde della violenza : in merito all’eliminazione delle radici profonde della violenza l’obiettivo è quello di costruire una nuova alleanza fra le istituzioni e le comunità territoriali, per una presa in carico collettiva e condivisa dell’infanzia . Come viene applicato: costruzione di un contesto di vita sufficientemente buono, progettazione di uno sviluppo sostenibile per tutti, prendersi cura dei contesti fisici, della pianificazione urbana e della costruzione di spazi pubblici che siano pensati per garantire sicurezza a bambini e donne

EDUCAZIONE E INTIMITÀ

La violenza sull’infanzia è sempre violazione di un’intimità, di uno spazio-tempo-corpo-relazione che dovrebbe poter essere privato, privilegiato, protetto.

La violenza crea anch’essa, paradossalmente, uno spazio intimo, privato, inaccessibile. Il silenzio che circonda la violenza e le sensazioni di impotenza e paura che l’accompagnano, di fatto costruiscono lo spazio intimo della violenza. E’ proprio la percezione di quell’intimità, come qualcosa di nascosto e indicibile, rende così difficile per un bambino uscire allo scoperto.

La violenza all’interno della famiglia è dunque violazione dell’intimità per due motivi: perché viola la dignità di del bambino/a e perché viola lo spazio di una relazione che è considerata intima per eccellenza. Anche quando l’abusante non è un familiare, il silenzio si accompagna all’abuso, sia per il senso di colpa generato, sia per la dimensione quasi segreta e ambiguamente privilegiata che segna la relazione.

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