La Riduzione Del Danno (RDD)

La riduzione del danno

LEA-RDD

l termine “riduzione del danno” ha ormai una storia ventennale alle spalle. Si ritiene comunemente che la riduzione del danno sia nata in Nord Europa, in particolare nella zona di Liverpool, a metà degli anni Ottanta come risposta a due emergenze: la prima riguardava l’inarrestabile diffusione dell’infezione da HIV tra i TDI (tossicodipendenti per via iniettiva), la seconda era la consapevolezza che le strategie messe in atto fino ad allora (legalizzazione, strategie di contrasto, coercizione) avevano peggiorato la situazione anziché migliorarla.

In Italia ha cominciato a diffondersi dopo l’esito del referendum abrogativo delle norme più repressive della legge sulle tossicodipendenze del 1990 e in particolare dopo la prima Conferenza nazionale su stupefacenti e tossicodipendenza, svoltasi a Palermo nel giugno ’93.

Anche in Italia si è affermata inizialmente come risposta “pragmatica” per far fronte all’emergenza HIV: in un’ottica di sanità pubblica, la priorità d’intervento si è spostata dalla “lotta alla droga” (l’eliminazione del consumo) alla riduzione del rischio di contrarre e trasmettere una malattia grave come l’Aids, tramite la prevenzione rivolta ai consumatori di eroina per via iniettiva.

Si è quindi assistito anche in Italia il progressivo decollo dei programmi di scambio siringhe nonché dei trattamenti prolungati con farmaci psicoattivi (metadone a mantenimento, ma non solo), con finalità altre dall’astinenza e con l’obiettivo più generale di anteporre la difesa della salute dei consumatori e della collettività all’applicazione della legge penale e al mantenimento dell’ordine pubblico.

Il pragmatismo che caratterizzava i primi interventi di RDD ed il fatto che fossero prioritariamente rivolti a tossicodipendenti conclamati e da uso endovenoso di eroina la ha per lungo tempo relegata ad una dimensione operativa identificata con un insieme di interventi, essenziamente sanitari, di prevenzione terziaria.

Gli anni recenti sono stati caratterizzati da una modificata percezione sociale del fenomeno droga, da una progressiva normalizzazione dei comportamenti di uso di sostanze e soprattutto dalla realtà sociale di modelli assai differenziati dei consumi.

Si è quindi assistito alla evoluzione della RDD da dimensione operativa a modello di interpretazione del consumo di droghe e pilastro organizzativo dell’intervento sociosanitario, in grado di rispondere al mutamento nel tempo dei modelli di consumo e da una lettura del fenomeno che sa cogliere le differenze negli stili di consumo, alcuni sicuramente intensivi e dannosi, altri rischiosi, la gran parte moderati/controllati permettendo di cogliere una varietà di rischi connessi a comportamenti che non si identificano con la “patologia” della dipendenza.

In questo panorama appare sempre più sfumata la differenziazione tra i concetti di riduzione dei danni e riduzione dei rischi che, pur riferendosi a pratiche rivolte a taghet differenti di consumatori, sono frequentemente utilizzati in modo indifferenziato,

Le strategie di riduzione dei rischi, che affiancano gli inteventi inquadrati come di prevenzione primaria (educazione scolastica sulle droghe, campagne sui mezzi di comunicazione di massa, programmi di sviluppo dei giovani e peer education) adottano tipicamente approcci di tipo ambientale che vanno ad intervenire negli ambienti dedicati allo svago, come discoteche e festival, per affrontare il contesto ambientale del consumo di droga fra i giovani e i rischi associati all’uso ricreativo di droghe in questo contesto (ad esempio la violenza, i rapporti sessuali a rischio, il comportamenti rischiosi alla guida).

In quest’ultimo campo, le pratiche rivolte alla promozione dell’uso (più) sicuro delle sostanze ( pill testing, prevenzione degli overmix ecc) accomunano questi interventi a quelli tipicamente definiti di riduzione del danno, strategia che vale per tutte le droghe e non solo per i modelli di consumo più dannosi e problematici:

RIDUZIONE DEL DANNO

La riduzione del danno : criticità

Da diversi anni l’immagine sociale del problema droga non si identifica più con l’emergenza “epidemia eroina” né con la “emergenza HIV”. Il binomio droga/marginalità non campeggia più nell’immaginario popolare-mediatico.

Al contrario, la politica è ossessionata dalla “normalizzazione” dell’uso di droga e lo scandalo è derivato dal venire alla luce di un modello non distruttivo di uso di droghe, in particolare cocaina, che non impedisce (anzi, almeno con certi limiti e modalità, perfino favorisce) alti livelli di integrazione sociale.

Questa percezione sociale del fenomeno droga è però assai diversa dalla realtà dei dati epidemiologici che ci dicono che l’uso di eroina (sempre più spesso associato a cocaina) per via iniettiva è ancora molto presente, ma la sua invisibilità sociale di ritorno è favorita essenzialmente da due fenomeni. Da un lato, le politiche di sanità pubbliche adottate in Europa hanno dato i loro frutti in quanto la diffusione del virus HIV fra i consumatori si è drasticamente ridotta grazie al successo dei programmi di scambio siringhe; dall’altro la presa di distanza dallo “stile tossico” (di cui la modalità iniettiva è parte fondamentale) costituisce uno dei principali strumenti che i consumatori integrati utilizzano per tenere “sotto controllo” il consumo determinando una modificazione dei contesti di consumo, tanto che attualmente gli “scenari della droga” all’aperto sono ridotti e sostanzialmente ristretti alla popolazione non italiana.

Questi mutamenti di scenario hanno reso più difficoltosa la realizzazione di programmi basilari di RDD in grado di intercettare oltre alla tradizionale popolazione tossicodipendente quella nuova fascia di giovani consumatori che ha progressivamente aggravato la propria condizione con il passaggio dall’uso controllato ad un uso dipendente, spesso endovenoso, di eroina e cocaina.

A tale difficoltà di adattamento è frequentemente corrisposto un disinvestimento nei confronti delle pratiche basilari di riduzione del danno (scambio siringhe, distribuzione naloxone) a favore di più circoscritti interventi di riduzione dei rischi in contesti ricreativi.

I presupposti della riduzione del danno: La possibilità di accedere alle cure

La RDD non è una tipologia di intervento specifica di un gruppo di operatori di un servizio pubblico o del privato sociale, ma un approccio culturale che deve riguardare le azioni di tutti i membri della rete dei servizi che devono rispondere alle esigenze poste dall’uso/abuso di sostanze

Nel settore della tossicodipendenza non esiste una risposta esaustiva ed unica, così come non esiste uno strumento valido per tutte le situazioni e tutti i soggetti.

Non esiste, dunque, “la tossicodipendenza”, ma tante tossicodipendenze quanti sono i soggetti, per i quali, necessariamente, va predisposta una risposta personalizzata e finalizzata agli specifici problemi; questo rende impossibile per un singolo servizio, anche ricco di personale e risorse strutturali, riuscire a soddisfare tutte le esigenze poste dal problema e a dare risposte esaustive.

Poichè i servizi non sono chiamati adoccuparsi solo di tossicodipendenza e di eroina, ma di tutte le sostanze psicoattive, legali ed illegali, e di tutte le forme di uso e abuso di queste, i campi di intervento sono molteplici: la prevenzione primaria (attraverso l’informazione, la promozione della salute e l’educazione sanitaria), la prevenzione secondaria (quando c’è già un consumo di sostanze), la presa in carico e la cura (con trattamenti clinici personalizzati), la risocializzazione ed il reinserimento sociale, gli interventi di riduzione del danno.

Il servizio per le tossicodipendenze ha quindi il compito di affrontare tutti gli aspetti connessi all’uso/abuso di sostanze, compresi gli interventi di RDD, nell’ottica del lavoro di rete e dell’integrazione degli interventi dei servizi socio sanitari e del privato sociale

Poichè al centro dell’interesse dei servizi, sia pubblici che del volontariato e privato sociale, per i consumatori di droghe, c’è la “persona” con i suoi problemi e le sue esigenze, le strategia e le azioni ottimali che devono realizzare non possono escludere in nessun caso le caratteristiche dell’accesso alla rete dei servizi considerati nel loro insieme, perché compito della rete dei servizi è quello di rispondere ai bisogni di tutti gli utenti, a prescindere dalle loro caratteristiche, condizioni, possibilità e disponibilità

Il riferimento alla centralità della persona sottolinea la necessità per i servizi di porsi l’obiettivo di aiutare tutte le persone con problemi di droga nell’ottica di “ridurre i danni” e i rischi che caratterizzano il consumo di stupefacenti e non solo per aiutare chi usa eroina e ha già sviluppato una dipendenza; quindi anche quello di costruire percorsi possibili verso l’universo giovanile dei “nuovi utilizzi” e nuovi comportamenti rischiosi.

Questo principio è sancito dall’ Accordo Stato-Regioni del 21 gennaio 1999 relativo alla “Riorganizzazione del sistema di assistenza ai tossicodipendenti”, che nel paragrafo “Principi ispiratori delle attività assistenziali” afferma:

Al centro dell’interesse dei servizi deve esserci la persona quale soggetto portatore di un bisogno, indipendentemente da una effettiva richiesta di “intervento terapeutico”- ancor meno dalla possibilità di effettuare un trattamento “drug free” – e dalla disponibilità a recarsi presso la sede del servizio“.

Lo stesso testo precisa che l’obiettivo generale e fondamentale del lavoro dei servizi (pubblici e privati) che si occupano di persone tossicodipendenti è quello della tutela della salute, globalmente intesa, fisica, psichica, relazionale, da perseguire attraverso la definizione di obiettivi specifici che vanno dalla completa riabilitazione, alla induzione di uno stile di vita meno rischioso, al raggiungimento di un equilibrio personale accettabile, alla rimozione e modificazione di comportamenti/stili di vita a rischio.

L’obiettivo ultimo degli interventi di RDD è sempre quello della tutela della salute e del benessere psico-fisico della persona.

Questo obiettivo generale ed i relativi obiettivi specifici, può essere conseguito solo attraverso una modalità di lavoro per e con le persone, nelle condizioni in cui esse si trovano, senza rinvii ad un ipotetico momento di “migliore possibilità di gestione” dei problemi, evitando più o meno consapevoli preconcetti o giudizi sui comportamenti di chi è portatore del bisogno.

Il bisogno di una persona, tuttavia, è difficilmente definibile senza il contributo della persona stessa, con le sue specifiche soggettive, nel rispetto non solo della sua dignità, ma anche della sua cultura e delle sue condizioni fisiche e psicologiche.

Se centrale è la persona, i servizi complessivamente intesi come sistema di assistenza,nelle varie articolazioni organizzative (Dipartimento – rete pubblico-privato, ecc.), devono cercare di raggiungere tutte le persone che hanno problemi di uso/abuso di sostanze stupefacenti, senza selezioni di utenza, mirando a garantire l’intervento personalizzato più appropriato.

Tenuto conto dell’elevatissimo rischio che comporta la condizione di tossicodipendenza, la completa soluzione del problema è il risultato ideale di qualunque intervento; tuttavia, nell’impossibilità (anche temporanea) di conseguire tale risultato, il raggiungimento di un adeguato equilibrio della persona e la riduzione dei rischi sanitari e sociali non sono obiettivi di minor importanza, e costituiscono, a volte, un passo preliminare ineludibile verso percorsi successivi di trattamento vero e proprio.

In questo quadro, gli interventi definiti, con terminologia classica anche se apparentemente riduttiva, di “riduzione del danno” trovano il loro naturale ambito, perdendo quel carattere di parallelismo, alternatività o sperimentalità rispetto al complesso delle attività ordinarie, con il quale sono stati etichettati sino ad un recente passato.

La riduzione del danno deve essere intesa quindi non solo come un insieme di pratiche di intervento specifiche (unità di strada, drop-in, distribuzione di materiali di profilassi) ma più in generale come un approccio teorico che guida le scelte operative ed organizzative dei servizi che devono garantire in primo luogo il principio della universalità del diritto di accesso alle cure.

Anche a livello delle politiche comunitarie di intervento nel campo della lotta alla droga la RDD è diventata a pieno titolo uno dei quattro pilastri a fianco della prevenzione, terapia (cura/riabilitazione) e repressione del narcotraffico.

Infatti, se da un lato è importante la tutela del singolo consumatore di droghe, dall’altro la tutela della collettività non si configura come un semplice controllo sociale, ma come politica di sanità pubblica, in quanto, nella misura in cui riesce a tutelare la salute delle persone tossicodipendenti, produce un maggior benessere della collettività nel suo complesso.

Quasta evoluzione del concetto di RDD dimostra il passaggio da un approccio che relegava la RDD di fatto alla dimensione delle “cure palliative”, di quelle cure cioè che solo negli ultimi decenni la medicina ha cominciato a valorizzare, e che sono applicate ai pazienti che non hanno possibilità di guarigione (in sostanza la riduzione del danno come soccorso ultimo per i soggetti più marginali meno curabili) ad un approccio che vede la RDD come modello possibile per le politiche pubbliche.

La disomogeneità che caratterizza la condizione di consumatore di sostanze, sia in termini di motivazione e di cause determinanti, che di condizioni oggettive e soggettive, di reazione e di risposta, rende impensabile un unico tipo di percorso, con i medesimi obiettivi e strumenti standard, uguali per tutti.

La valutazione dei risultati della presa in carico non può basarsi quindi solo su indicatori di guarigione, quale uno stabile e duraturo stato di astinenza da tutte le sostanze, ma, analogamente a quanto avviene per altre patologie, quali quelle psichiatriche, deve misurare anche il grado di compenso e di equilibrio personale, come pure l’accettabilità della qualità di vita complessiva della persona (RECOVERY).

harm-reduction

Principi generali della RDD

La riduzione del danno si configura come una forma di prevenzione primaria (se si fa riferimento direttamente alle patologie evitate, come le malattie infettive) oppure secondaria/terziaria (se si considera l’uso di droghe in generale).

Peraltro, anche negli interventi di prevenzione primaria propriamente detti (indirizzati a evitare l’inizio del consumo di droghe, stimolando la responsabilità personale nelle scelte e la promozione della salute) si va diffondendo l’idea di porre una maggiore attenzione alla prevenzione dell’ “uso problematico” delle droghe;

Analogamente, nel campo dei tradizionali trattamenti, l’obiettivo di allargare l’intervento ai tossicodipendenti più difficili e di ottenere una maggiore ritenzione dei pazienti nei programmi, viene spesso conseguito attraverso l’utilizzo di metodologie un tempo considerate proprie della strategia di riduzione del danno.

Principi generali

  • Gli interventi di riduzione del danno si configurano come politica di sanità pubblica nella misura in cui tutelano sia l’individuo tossicodipendente sia la collettività nel suo complesso.
  • Al centro dell’interesse dei servizi deve esserci la persona, qualunque sia la sua condizione, la sua richiesta di aiuto, la sua disponibilità all’intervento; in caso di impossibilità di un servizio a rispondere ad una richiesta, la persona va accompagnata o indirizzata ai servizi più idonei e attrezzati a soddisfare i suoi bisogni di cura, espressi ed inespressi.
  • L’obiettivo generale di qualunque intervento è sempre la tutela e/o il ripristino della salute, da ottenere con la soluzione della dipendenza o con il raggiungimento di un equilibrio personale accettabile o con l’induzione di uno stile di vita e di comportamenti meno rischiosi.
  • Il lavoro dei servizi non può essere basato su giudizi morali, ma su elementi tecnico -scientifici e sui bisogni e le difficoltà della persona; non può, pertanto, esistere un “bene” oggettivo che prescinda dal bisogno espresso dal paziente in un dato momento.
  • È indispensabile attivare interventi il più precocemente possibile per evitare aggravamenti di condizione o per fermare la compulsività della tossicodipendenza.
  • Ogni tossicodipendente ha diritto a ricevere assistenza su tutto il territorio nazionale, indipendentemente dalla condizione e dalla residenza, e ad avere un trattamento personalizzato che tenga conto della storia personale, delle precedenti esperienze con e senza i servizi, degli obiettivi soggettivi e delle scelte di vita; gli obiettivi possibili vanno concordati e definiti con il paziente, gli interventi attuati devono essere chiaramente esplicitati.
  • È importante avere sempre presenti le finalità e gli obiettivi che si intendono raggiungere in quel momento e con quell’intervento, per evitare che risulti ininfluente o addirittura dannoso.

Obiettivi generali della RDD

Tra gli obiettivi generali degli interventi di riduzione del danno che si sono sviluppati in questi anni si possono identificarei le seguenti finalità:

  • Contenere i problemi più rilevanti di chi è già in una situazione di dipendenza, in particolare, ridurre la mortalità e la morbosità droga correlata, sia da narcotismo acuto che da malattie infettive; ridurre o eliminare l’uso endovenoso di sostanze; ridurre l’uso di oppiacei in qualunque forma e migliorare lo stato di salute generale (fisica, psichica e sociale) della persona.
  • Stabilizzare il tossicodipendente o il consumatore problematico, migliorandone significativamente la qualità di vita, interrompendo, in particolare, il circolo vizioso tossicodipendenza-comportamenti illegali; favorire il conseguimento di un equilibrio socio-relazionale accettabile, facilitando la maturazione di processi di cambiamento, anche relativamente all’uso di sostanze; cogliere al meglio la richiesta di aiuto aumentando le probabilità che il contatto con il servizio sia l’occasione di un miglioramento della vita biologica, psicologica o sociale del tossicodipendente.
  • Prevenire l’uso problematico di sostanze (in particolare le sostanze sintetiche e l’alcool), nel più vasto ambito dei consumatori occasionali o ricreazionali, aumentando le conoscenze e, soprattutto, la consapevolezza dei rischi e le attitudini verso comportamenti più sani.
  • Stimolare la riflessione e l’intervento della comunità nel suo complesso rispetto al problema della droga e, in particolare, riguardo agli atteggiamenti nei confronti dei tossicodipendenti e alla loro rappresentazione sociale; lavorare per prevenire la marginalizzazione delle persone e la diffusione di reazioni irrazionali, in particolare tra i cittadini più esposti alle conseguenze sociali della tossicodipendenza, favorendo al contempo la consapevolezza della necessità e utilità dei servizi di prevenzione e trattamento.

All’interno di questi obiettivi generali, una delle caratteristiche peculiari, ancorché non esclusiva, della maggior parte delle linee progettuali è la focalizzazione sui tossicodipendenti non ancora inseriti in percorsi terapeutici tradizionali, identificati come gruppo a maggiore prevalenza di molte delle condizioni di rischio correlate alla dipendenza da sostanze.

Obiettivi specifici della RDD

Tra gli obiettivi specifici comuni a molti progetti i principali sono:

  • Favorire la presa di contatto “precoce” del tossicodipendente o del consumatore con i Servizi, riducendo la durata della fase di “latenza” (a volte perdurante per anni) che intercorre tra l’inizio dell’uso di sostanze e la prima richiesta di trattamento o di aiuto. Per tale scopo è necessario uscire dalla logica della “struttura”, per intraprendere un intervento sul “territorio”, basato sulla conoscenza dei luoghi di consumo, di rischio, di spaccio e su un servizio improntato alla “presenza” e “vicinanza” piuttosto che alla pur importante offerta di prestazioni.
  • Facilitare l’accesso ai Servizi con offerte più interessanti per il paziente e maggiormente rispondenti ai suoi “bisogni”, sia in termini di trattamento farmacologico, che di sostegno sociale e relazionale, con interventi integrati, ma flessibili. Contemporaneamente, porre maggiore attenzione all’offerta di aiuto alle persone apparentemente refrattarie a tutte le opzioni disponibili presso i servizi.
  • Costruire un rapporto significativo operatore-utente e servizio-utente, offrendo alla persona tossicodipendente un punto di riferimento costante, credibile e riconoscibile, anche in termini di risorse specifiche ed opportunità reali, fornendo, ad es., risposte pratiche a situazioni di difficoltà (abitative, relazionali, ecc.), che diano il senso di una soluzione di continuità rispetto alla condizione di cronica emarginazione di molti tossicodipendenti.
  • Favorire la ritenzione in trattamento, quale significativo indicatore di attivazione di un processo di cambiamento da parte dell’utente e di un possibile avvio di percorsi ulteriori. Migliorare la gestione delle ricadute, valorizzandole come segnale della necessità di riformulare la proposta terapeutica, evitando la espulsione dal programma in corso o, peggio ancora, dal servizio.
  • Lavorare nell’ottica dell’integrazione delle proposte terapeutiche, con modalitàoperative adeguate alle caratteristiche e alla storia di dipendenza del paziente, e basate su una maggiore specializzazione (prevenzione secondaria e terziaria,trattamenti ambulatoriali, centri residenziali a breve termine, ecc.) aumentando il numero e la possibilità di integrazione delle varie offerte terapeutiche.
  • Evitare la cronicizzazione e la identificazione della persona con la sua condizione di tossicodipendente, svincolandola, in particolare, da una vita centrata sull’illegalità e sulla ricerca/assunzione delle sostanze. In tal senso il trattamento con farmaci agonisti, anche quando non riesce ad eliminare completamente l’uso di eroina, può essere positivamente considerato se consente la creazione di spazi di autonomia di vita.
  • Considerare i rapidi cambiamenti nel tempo del tossicodipendente e delle sue modalità di rapporto con le sostanze, adeguando la proposta terapeutica alle diverse fasi di motivazione al cambiamento attraversate dalla persona. In tal senso, non va banalizzata la possibile utilità di un trattamento farmacologico come “metodo di aggancio”, pur se è improponibile l’utilizzo di un unico strumento a lungo termine, senza periodici aggiustamenti od integrazioni.
  • Imparare a differenziare popolazioni diverse di consumatori e gruppi differenti di sostanze, evitando assimilazioni non supportate da dati scientifici ed adeguando il più possibile gli interventi di riduzione del danno ai gruppi target di riferimento, spesso portatori di sub-culture diverse e con un differente rapporto con le sostanze e con il territorio.
  • Progettare gli interventi “con” (e non “per”) i destinatari, evitando la replicazione acritica e la generalizzazione di esperienze precedenti, anche positive, ma realizzate in altri contesti, prestando attenzione alle continue variazioni di sostanze, di modalità di consumo, di presenze e di etnie, come pure agli aspetti organizzativi e alle modalità di aggregazione dei consumatori che un territorio registra nel tempo.
  • Predisporre interventi educativi ed informativi mirati sui consumatori, con informazioni sulle metodiche di intervento in caso di overdose (insegnando ad aiutare e a stare vicino a chi sta male), sulla concentrazione del principio attivo presente sul mercato, sulle vie e modalità di assunzione meno rischiose; scoraggiare in ogni modo le forme più destruenti di comportamento (es.: uso di benzodiazepine per via iniettiva, cocktail farmacologici, ecc.).

Il paradigma della “SOGLIA” di intervento

Le strategie di intervento RDD hanno come destinatario la singola persona tossicodipendente tenendo presente la percezione dei suoi bisogni, la capacità di formulare una domanda, e la sua disponibilità e possibilità al cambiamento.

A queste variabili si accompagnano interventi con gradi di accessibilità e accettabilità differenziati, prevedendo interventi con varie “soglie di selezione” a intensità alta, media, bassa e bassissima.

Si definiscono interventi a

  • Alta Soglia: Interventi rivolti a quella fascia di utenti che accettano l’inserimento in tali strutture sottoponendosi a programmi terapeutici e socio-riabilitativi nel lungo termine; Media Soglia: Interventi che offrono un supporto educativo, psicosociale e farmacologico, delineati su programmi a medio-lungo termine con finalità di riduzione dei comportamenti a rischio;
  • Bassa Soglia: Interventi di facile accessibilità che richiedono un minimo livello di partecipazione attiva e di esplicitazione della domanda, diretti ai tossicodipendenti attivi realizzabili nel breve termine;
  • Bassissima Soglia: Interventi realizzati nei luoghi naturali di aggregazione dei tossicodipendenti attivi e rivolti alla soluzione dei loro problemi concreti e realizzabili immediatamente

PRINCIPALI ATTIVITA’ DI RDD

La riduzione del danno
UNITA’ DI STRADA

Obiettivi:

  • “agganciare” e mantenere una relazione con i tossicodipendenti attivi
  • favorire il cambiamento dei loro comportamenti a rischio
  • favorire il collegamento tra tossicodipendenti e strutture socio-sanitarie
  • aumentare le conoscenze riguardanti la salute dei TD/consumatori contattati
  • incentivare l’accesso agli interventi di media ed alta soglia

Attività:

  • scambio di siringhe e distribuzione gratuita di materiali di profilassi
  • interventi di informazione con distribuzione di materiale informativo
  • consulenza e sostegno (counseling) alla persona tossicodipendente
  • invio e accompagnamento dei Td alle strutture e servizi
  • mappatura e conoscenza del territorio
  • identificazione dei gruppi di TD attivi (target)
  • collegamento con associazioni, istituzioni, strutture e servizi del territorio

Raccomandazioni per gli interventi di strada (Ministero della Sanità Linee guida sulla RDD)

  • Il lavoro di strada deve saper utilizzare le occasioni relazionali e comunicative con i consumatori, anche quando non vi sia la prospettiva di invio al sistema dei servizi o di elaborazione di progetti individuali.
  • Il lavoro di strada deve poter contare su équipe con competenze multidisciplinari, completate da una formazione comune sulle metodologie specifiche.
  • Il lavoro di strada deve rappresentare uno dei poli del sistema dei servizi, è da esso interdipendente e ad esso deve connettersi in forma organica. Particolare attenzione va pertanto portata al coordinamento, alla comunicazione, al confronto tra équipe di strada e équipe degli altri servizi.
  • Il modello organizzativo degli interventi di strada e le modalità di connessione e integrazione con il sistema dei servizi devono avere flessibilità tale da consentire l’elaborazione di protocolli e iter decisionali agili ed efficaci.
  • L’attivazione delle risorse dell’utenza, la valorizzazione e l’utilizzo dei “saperi” diffusi dagli utenti, il loro coinvolgimento pratico in azioni di prevenzione, educazione alla salute, auto-aiuto, supporto tra pari, sono modalità utili all’intervento di strada.
  • Massima attenzione va portata allo sviluppo del lavoro di rete, alla definizione – tramite strumenti quali i protocolli di intesa, gli accordi e i contratti di programma – dei rapporti con le agenzie coinvolte (istituzionali pubbliche, private e risorse informali del territorio), alla manutenzione non episodica di tali rapporti.
  • La cura del rapporto con il territorio, la costruzione di strategie di consenso e/o di mediazione dei conflitti che gli interventi potrebbero sollevare, l’informazione e la comunicazione con la popolazione delle zone interessate sono da ritenersi parte integrante del lavoro di strada.

Criticità relative agli interventi di strada

Relativamente alle tradizionali tipologie di intervento si rende oggi necessario l’allargamento delle tradizionali attività di riduzione del danno delle unità di strada, verso forme anche nuove, capaci d’intercettare i consumatori “ludici” e “ricreativi”: con le loro specifiche, e spesso pericolosissime, forme di abuso (non necessariamente connesso alla dipendenza) e i loro nuovi stili di consumo, che vanno dal “problematico” al “controllato”. Servono per queste strategie che non si fondino sull’idea della riduzione del danno come attività rivolta solo “agli ultimi” pur mantenendo l’attenzione su marginalità che permangono e anzi si espandono, con l’abuso e la dipendenza per vie non iniettive, il ritorno dell’eroina e il problema dei migranti.

PRIMA ACCOGLIENZA

Obiettivi:

  • fornire un servizio minimo di pronta accoglienza
  • dare continuità all’aggancio effettuato dall’Unità di Strada
  • creare un più diretto ed efficace rapporto dei tossicodipendenti con le strutture pubbliche
  • diffondere le necessarie misure di prevenzione contro la diffusione del virus HIV
  • organizzare attività finalizzate ad incoraggiare la valutazione del rischio, di contagio del virus HIV, individuare le alternative e rinforzare i messaggi di riduzione del rischio stesso
  • fornire ai td informazioni mirate relative alle risorse, opportunità, diritti e doveri in campo sociale, legale, formativo, lavorativo ecc.

Attività:

  • sportello informativo di segretariato sociale e consulenza specifica (legale, formazione, lavoro, ecc)
  • interventi di informazione e consulenza ai tossicodipendenti, ai loro familiari e partner sessuali sull’HIV e sull’Aids
  • corsi di sopravvivenza su infezione da HIV, pratiche iniettive, sessuali e prevenzione, pronto soccorso ed assistenza dell’overdose, riservati a gruppi ristretti di tossicodipendenti
  • scambio di siringhe e distribuzione gratuita di materiali di profilassi
  • fornitura di servizi di prima necessità in collaborazione con gruppi ed associazioni di volontariato
  • invio mirato dei tossicodipendenti, in caso di problemi specifici, alle strutture riferimento
  • attività di accoglienza (ritrovo, ristoro, socializzazione, auto-organizzazione ed eventuale sede di supporto per attività autogestite dai Td -es: rivista, gruppo di auto aiuto, ecc.-
PROGRAMMI SCAMBIO

Materiali di profilassi

  • La distribuzione di materiale di profilassi rappresenta un’azione fondamentale per la prevenzione in quanto consente di riscontrare reazioni o apprezzamento immediato da parte dei consumatori di sostanze.
  • La distribuzione del materiale, oltre a costituire uno strumento per la riduzione del danno, deve mirare ai seguenti obiettivi: a. rinforzo dei messaggi di prevenzione e cura di sé; b. attivazione delle risorse personali ed aumento della percezione del rischio.
  • Il materiale deve essere disponibile in idonea quantità e per soddisfare bisogni immediati. La consegna deve essere occasione per discutere con i consumatori le tematiche concernenti i rischi, la cura di sé, ecc..
  • Le attività di distribuzione del materiale di profilassi devono essere adeguatamente preparate e concordate con le autorità locali e con le forze dell’ordine, tenendo conto dell’impatto e dell’eventuale modificazione ambientale.
  • I materiali distribuiti dalle unità di strada comprendono siringhe sterili monouso, acqua distillata, fazzolettini disinfettanti, filtri sterili, profilattici, acido ascorbico/citrico, naloxone.

Obiettivi:

ridurre i comportamenti a rischio di infezione del virus HIV e di altre malattie infettive

Attività:

  • Fornitura diretta di siringhe profilattici e materiali informativi dei servizi
  • Scambiatori automatici di siringhe installati in luoghi ad alta frequentazione o transito di tossicodipendenti attivi;
  • Farmacie: distribuzione gratuita anche senza scambio delle siringhe

Siringhe sterili mono-uso

La distribuzione di siringhe sterili non deve mai essere legata alla restituzione obbligatoria delle siringhe usate, ma la decisione di riportare le siringhe usate può e deve maturare all’interno della relazione con gli operatori. Una possibile soluzione al bisogno di riscontri da parte dell’utenza può essere rappresentata dalla “tecnica di distribuzione mista”, nella quale gli operatori stabiliscono la distribuzione di 3 siringhe pro-capite al giorno, ma possono esserne comunque distribuite un massimo di 4 o 5, se vi è la restituzione di 1 o 2 siringhe usate da parte dell’utente.

Acqua distillata

Anche la distribuzione di acqua distillata ricopre un ruolo notevole nell’ambito del lavoro di prevenzione, in quanto permette di introdurre modalità di consumo molto più igieniche, soprattutto per quei tossicodipendenti che vivono in strada.

È preferibile che la fiala sia in vetro e non in plastica, perché permette di scaldarvi la sostanza direttamente, con conseguente minore manipolazione e maggiore igiene.

Generalmente va distribuita 1 fiala d’acqua per ogni siringa allo scopo di ridurre al minimo il pericolo di uso in gruppo di materiale “preparatorio” (fiala di acqua, filtro, fondo di lattina, cucchiaino, ecc.); la diffusione dell’abitudine, del rito o della necessità di condividere il materiale preparatorio rende necessaria una adeguata informazione sul pericolo rappresentato da questo uso promiscuo.

Fazzolettini disinfettanti

Si rivelano presidi fondamentali, in quanto la pratica della disinfezione prima di un iniezione è pressoché sconosciuta in strada; possono anche servire per rinforzare i messaggi di prevenzione e cura della salute, nelle discussioni con gli utenti, partendo da semplici messaggi sulle modalità d’uso del fazzolettino per giungere a una maggiore coscienza della propria condizione di salute, in particolare a considerazioni sulla qualità delle iniezioni. Il gradimento da parte degli utenti è solitamente molto alto (specie nei tossicodipendenti italiani), soprattutto da parte di coloro che sono senza fissa dimora e li usano per disinfettarsi anche in altre occasioni.

Filtri

La distribuzione di filtri sterili è molto diffusa negli altri Paesi europei, ma pressoché sconosciuta in Italia, una circostanza legata alle conoscenze ed i pattern di consumo dei tossicodipendenti italiani, che utilizzano, dal punto di vista igienico molto impropriamente, il filtro delle sigarette; in Francia è stata introdotta con buoni risultati la distribuzione di siringhe da 1 ml con il filtro incorporato, allo scopo di eliminare ogni manipolazione, fattore di rischio per la trasmissione di ulteriori infezioni.

Acido ascorbico/citrico

È molto apprezzato dall’utenza tossicodipendente in quanto agisce più efficacemente del limone sull’eroina di strada, riducendo la possibilità di iniezione di particelle di sostanza non ben disciolte, con conseguente diminuzione del pericolo di flebiti, ascessi e embolie. La distribuzione di bustine di acido citrico/ascorbico da 1 g, inoltre, può concorrere ad eliminare la tipica abitudine, pericolosamente antigienica, di utilizzare più volte lo stesso limone, fino al completo esaurimento, con tutti i rischi di infezioni connessi.

Naloxone

L’introduzione del farmaco antagonista Naloxone, in qualità di presidio salvavita, fra le possibilità di offerta delle équipe di strada italiane, si pone quale elemento di rafforzamento del concetto di Unità di strada come parte integrante della rete dei servizi sanitari. La somministrazione del naloxone è di vitale importanza in quei contesti dove l’overdose è ancora un fatto quotidiano; rappresenta, però, anche un’occasione per formare l’utenza sui comportamenti a rischio di overdose, che non sono solo relativi semplicemente alla quantità di eroina assunta, ma riguardano anche e soprattutto i pattern di consumo (con benzodiazepine e alcool associati, in primo luogo) e le abitudini tossicomaniche.

Profilattici

L’abuso di eroina non corrisponde necessariamente ad un abbassamento del desiderio e dell’attività sessuale, come dimostrato dai risultati di ricerche epidemiologiche nazionali dell’Istituto superiore di sanità che evidenziano i rischi di trasmissione dell’HIV per via sessuale sia all’interno della popolazione tossicodipendente, sia dalla popolazione tossicodipendente verso fasce di popolazione non utilizzatrici di stupefacenti. Inoltre, specie in un ambito metropolitano, l’utenza delle Unità di strada è molto variegata e comprende una rilevante percentuale di donne, un certo numero di consumatori di eroina alle prime esperienze, qualche persona che si prostituisce; solitamente la distribuzione di profilattici cresce solo dopo un certo tempo dall’inizio dell’attività operativa in strada.

Talvolta, emergono difficoltà e resistenze nell’affrontare l’argomento nell’ambito di relazioni con utenti tossicodipendenti (maschi, in particolare).

Macchine automatiche(scambiatrici/distributrici di siringhe)

Sin dalle prime installazioni, hanno dimostrato di essere molto gradite alla popolazione tossicodipendente in quanto sono attive 24 ore su 24 e permettono l’acquisto di una siringa a basso prezzo oppure gratuitamente, se ne viene restituita una usata. Funzionano meglio quando integrano la presenza di una Unità di strada, in quanto permettono un forte rinforzo ai messaggi di self-empowerment, di prevenzione e cura di sé; inoltre, i distributori/scambiatori automatici si dimostrano particolarmente utili nel raggiungere quei consumatori che fanno uso di stupefacenti senza aver ancora sviluppato una grave dipendenza o per quelle persone che, per svariati motivi (quasi sempre legati alla visibilità), non desiderano entrare in contatto con la piazza o con gli operatori dell’Unità di strada.

KIT per fumare

Maggiormente utilizzato negli USA a causa della diffusione del crack serve per disincentivare l’uso endovenoso di droghe e a promuovere il filtraggio degli stimolanti per ridurre l’impatto di queste sostanze sul tessuto polmonare ( attraverso la distribuzione di filtri e boccagli in gomma è possibile ridurre l’esposizione orofaringea alla brace calda, riducendo così ustioni alla bocca e alla gola). Può inoltre risultare utile nel prevenire alcune infezioni (trasmissione di virus attraverso lo scambio della cannuccia usata per la inalazione della cocaina o infezioni causate dalla pratica diffusa di utilizzare banconote).

Strutture intermedie a bassa soglia/dROP IN

(Raccomandazioni del Ministero della Sanità Linee guida sulla RDD)

1. Le strutture intermedie a bassa soglia sono servizi specifici per i consumatori attivi di droghe pesanti, in particolare per quelli che non hanno contatti con i SerT e, più in generale, per quelli che hanno interrotto le relazioni con le reti di socializzazione primaria e secondarie (famiglia, amici, lavoro), pur avendo rapporti con i servizi.

2. Le strutture consentono un’accoglienza non selezionata; hanno cioè l’obiettivo di fornire risposte agli specifici problemi che la persona tossicodipendente rivolge alla struttura in un determinato momento.

3. Nelle situazioni tipiche, l’offerta di servizi include possibilità di riposarsi, lavarsi, mangiare, ricevere consigli per la riduzione di ulteriori danni fisici e sociali; in questo senso la struttura intermedia offre spazi alternativi alla logica della strada nei quali il consumatore possa:

a) recuperare il suo stato di salute psico-fisica, ma anche una propria integrazione sociale (quartiere, famiglia, amici, lavoro);

b) acquisire capacità attive di auto-difesa tramite metodologie come auto-mutuo-aiuto, supporto ed educazione tra pari.

4. Nella struttura intermedia, in quanto luogo di sosta e non solo di passaggio, che può aiutare il consumatore ad emanciparsi dalla logica della strada, l’operatore deve avere la capacità di essere presente – senza interferire – e di rispettare i tempi del consumatore.

5. Il rapporto col SerT, anche se non strutturato, deve essere ben visibile, in modo da facilitare l’eventuale accesso ad un programma di trattamento (farmacologico o drugfree); deve esistere un collegamento funzionale con i servizi della ASL, dell’Ente locale, dell’associazionismo e del volontariato e con gli altri interventi finalizzati alla riduzione del danno, in particolare con le unità di strada.

6. Le strutture intermedie agiscono in regime diurno, ma possono prevedere una ospitalità notturna, da individuare come transitoria; devono essere dotate di un regolamento con poche ma chiare regole, che riguardino le garanzie per la convivenza e siano discusse e riformulate con i destinatari perchè siano sentite dagli utenti come proprie e vantaggiose. 7. Le strutture intermedie devono offrire prestazioni e consulenze sanitarie, counseling, consulenza legale, servizio mensa, laboratori, gruppi, possibilità di brevi soste, ecc.; le prestazioni e la attività offerte devono essere adeguate al contesto in cui opera la struttura ed ai bisogni dei destinatari.

8. Gli operatori possono essere di diversa provenienza, professionalità e formazione (medici, psicologi, educatori, opinion leader, mediatori culturali), in relazione alle caratteristiche specifiche che assume la struttura nel contesto locale in cui è progettata.

9. L’équipe delle strutture intermedie deve favorire il coinvolgimento della popolazione del quartiere, cittadini leader disponibili a collaborare ed a fare opera di mediazione.

10. La progettazione e la gestione di una struttura a bassa soglia può essere affidata ad un SerT, ad un ente del III Settore o in forma mista tra i due. In ogni caso è opportuno il coinvolgimento dei fruitori della struttura nella progettazione e nella gestione. La struttura dovrà essere collocata in luogo riservato, ma non isolato dal territorio, per evitare rischi di esclusione sociale, ma anche di scarsa utilizzazione da parte dei consumatori.

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Bibliografia

Droghe e riduzione del danno. Un approccio di psicologia di comunità – Patrizia Meringolo, Grazia Zuffa 2003

I drogati e gli altri: le politiche di riduzione del danno – Grazia Zuffa 2000

Droga, set e setting. Le basi del consumo controllato di sostanze psicoattive E. Zimberg, Grazia Zuffa

Linee guida riduzione del danno – Ministero della Sanità

Ripensare la RDD – Susanna Ronconi

RDD tra vecchie derive e nuovi approdi – Dossier Forum Droghe

Harm reduction: evidence, impacts and challenges EMCDDA

Medicina delle Dipendenze – Riduzione del danno: ambiti, servizi e prospettive Rivista – 1 settembre 2015

Medicina delle Dipendenze – Riduzione del danno: politiche e pratiche Rivista – 1 giugno 2015

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IDPC

Rete italiana di Riduzione del Danno ITARDD

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