Il valore della socialità e dell’intelligenza emotiva


Il valore della socialità e dell’intelligenza emotiva


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Indice

Mens sana in corpore sano

L’ autore di “Pompei”, Robert Harris scrive:
“Le terme non erano un lusso, erano le fondamenta della civiltà, erano ciò che elevava il cittadino…..

Le terme educavano alla disciplina dell’igiene, della cura di sé e della rigorosa abitudine…”


Benché le acque siano state utilizzate a scopo terapeutico anche in Grecia e nell’Oriente ellenizzato, nessun altro popolo nella storia può vantare una diffusione così ampia e capillare di stabilimenti termali pubblici e privati, aperti a tutti, tutto l’anno, come il popolo Romano.


Perchè?
Perchè la “Salus Per Acquam” (spa), ovvero la salute attraverso l’acqua, aveva una funzione non solo igienica e terapeutica, ma anche sociale, che rafforzava la matrice  sociale, il senso di appartenenza, l’identità transpersonale, la responsabilità civica e la socialità, basilare per accrescere l’empatia ed abbassare l’aggressività tra specie.


L’importanza  delle spa era tale che ogni sito termale romano aveva delle divinità protettrici.
Tra esse, come alle Acquae Caeretanae, il Dio Giove, al quale  ivi è stata dedicata e rinvenuta una iscrizione, su una colonnina, “A Giove e alle fonti delle Acque Caeretanae”.

Che si trattasse di terme “igieniche” (balneum)  o terme “curative”, le funzioni finali erano le medesime, la cura del corpo e dello spirito. Monito che ci tramanda il poeta Giovenale (Satire X, 356), ricordandoci che l’uomo dovrebbe rivolgere agli Dei due sole richieste: la salute del corpo e dello spirito:
“Orandum est ut sit mens sana in corpore sano”.


I balneum, solitamente presenti all’interno delle città, con acqua priva di proprietà curative, scaldata artificialmente, erano utilizzate principalmente come luogo di igiene quotidiana e, per la vicinanza, come luogo di aggregazione, di educazione e di socializzazione.
Le terme curative invece, solitamente lontane dalle città, erano sorgenti termali naturali dotate di particolari qualità e spesso già calde, come nel caso delle Aquae Caeretanae di Cerveteri, che il medico Celio  Aureliano (V ° secolo p. C.) definì: “acque termali più calde d’Italia”. Esse erano utilizzate come principale mezzo di cura, pur non mancando la funzione sociale, benchè meno “quotidiana”.   
Entrambe le tipologie di terme erano infatti luoghi ricreativi di incontro e ritrovo, di socializzazione, di aggregazione, di relax, di attività culturali, ludiche e fisiche che dimostrano la particolare attenzione dei Romani al benessere non solo fisico, come cura del corpo, ma psicologico e sociale, attraverso il bello dello stare insieme ed il culto della bellezza in sé.

In questi grandi centri di benessere dell’antichità si poteva entrare al mattino e restare fino al tramonto, senza annoiarsi.
Il balneum, oltre che una abitudine igienica quotidiana, era un luogo di socializzazione e di educazione, dove gli amici si incontravano per parlare e consumare i pasti, oppure gli uomini tenevano riunioni di lavoro o discutevano di politica.
All’interno della terme si potevano trovare locande, ristoranti, sale per convegni, per feste e celebrazioni.
Le terme  erano immerse nel verde di giardini, dove i cittadini passeggiavano e chiacchieravano, discutendo anche di cultura e di affari, fra vialetti, fontanelle ove dissetarsi, fontane monumentali, statue di Dei e di personalità pubbliche.
Nelle terme più sontuose si potevano trovare mirabili espressioni artistiche in mosaici, marmi e suggestivi giochi d’acqua, ma anche teatri, biblioteche e botteghe.
Insomma, si trattava di luoghi pubblici destinati al benessere del corpo, ma anche alla cultura e all’interazione sociale.

Socialitas per acquam!

Cicerone diceva che: “Quamdiu ad aquas fuit, numquam est mortuus” (De Orat. II, 67, 274), “finché si recò alle acque, è rimasto in vita”.
E’ chiaro che le acque siano vita, ma non lo sono solo in termini puramente fisici, ma anche psicologici e sociali.

Le terme romane avevano una caratteristica importante, erano accessibili a tutti e tutto l’anno, avevano dunque un connotato molto paritario e civile.
Erano infatti frequentate dal ricco patrizio, come dal povero plebeo che pagava un biglietto d’ingresso pari a un quadrante, più o meno il prezzo di una focaccia con un bicchiere di vino.
Erano accessibili sia agli uomini che alle donne, benchè essi li frequentassero in spazi e orari separati, giacché facevano il bagno completamente nudi.

Immaginate una giornata alle terme, in epoca romana. Che semplicemente si socializzasse, oppure si partecipasse a giochi o sport, si dovevano rispettare regole, non scritte, ma vissute, regole del vivere comune.

Essere accettati dalla famiglia in primis e dalla comunità poi, è un bisogno fondamentale per il cucciolo dell’essere umano, il quale da solo, non potrebbe sopravvivere.
Per questo la paura del rifiuto e/o dell’abbandono è una delle paure più grandi e ataviche dell’essere umano.
Al fine dell’accettazione dunque, è fondamentale apprendere quelle regole sociali della buona convivenza, che permettono di non essere emarginati, come avere una buona capacità di gestire le proprie emozioni (maturità emotiva), avere empatia per gli altri ed una bassa predisposizione all’aggressività ed alla violenza.

Come si apprendono queste cose?


Si apprendono con la presenza e con la relazione, ovvero attraverso la trasmissione dei valori genitoriali e sociali.
E’ attraverso l’interazione con i propri genitori infatti (che deve dunque necessariamente implicare la presenza) che il bambino si confronta con le proprie ed altrui emozioni, acquisisce valori e coltiva sentimenti. Il contatto fisico favorisce la produzione della ossitocina, l’ormone del legame, della socialità e della empatia. Inoltre, i neuroni specchio permettono, attraverso l’esempio, di sentire “come se” quelle stesse azioni le compissimo noi ed in questo modo si favorisce l’empatia.
Senza la presenza costante, senza la risposta dei genitori ai bisogni dei figli (quando essi ne hanno bisogno e non quando i genitori possono), senza l’amorevolezza ed il contatto fisico o in una situazione di carenza o altalenanza, è più difficile sviluppare empatia ed è più probabile diventare ansiosi e fortemente richiedenti di attenzioni.

Il nucleo primigenio di apprendimento delle regole sociali ed emotive è dunque la famiglia natale, poi lo diventano i nuclei sociali in cui via via ci si inserisce. Conditio sine qua non è sempre l’interazione sociale.

Oggi le spa, hanno prevalentemente perduto quel connotato sociale di un tempo e sono meno i luoghi di aggregazione che noi della generazione precedente abbiamo vissuto, compreso gli oratori, le colonie estive, le strade, le piazze ed i muretti, dove scendevamo per stare insieme.
Le famiglie sono sempre più frammentate, i familiari spesso lontani ed i nuclei familiari spesso ridotti a genitori single che si dividono tra vita privata e lavoro e la rete virtuale sta divenendo semrpe più dilagante.
Questo tipo di diseducazione è triplice, da una parte manca la presenza genitoriale, dall’altra c’è quella falsata ed a-social della rete (internet, le fake news, la musica, i video, i post, i social, le mode) e quest’ultima ha l’effetto psicosociale di alimentare ancor più l’asocialità, creando dipendenza, assuefazione, crisi di astinenza.
Ci troviamo così di fronte a nuove generazioni fluide, sempre più carenti di basi stabili, valori, persone di riferimento, identità, socialità, empatia e intelligenza emotiva.
Persone insicure ed iperemotive, sempre più dipendenti dall’esterno e dai “like”, sempre più intolleranti al rifiuto, al diniego ed alla frustrazione, prevalentemente orientate verso se stesse ed il proprio immediato appagamento. Tradotto in termini sociali, stiamo andando incontro ad una società sempre più egoriferita, dipendente affettivamente e narcisistica, che reagisce violentemente, in caso di frustrazione.

Se questo tipo di disfunzione emotiva viene generata dalla assenza e dalla asocialità, è presumibile che la presenza, la socialità e l’esempio di adulti empatici, non egoriferiti, ma altruisti, possa avere un ruolo di grande impatto nell’arginare questo fenomeno.
Non ne convenite?

Volontariato, maturità emotiva, empatia ed intelligenza emotiva

Qual’é il settore in cui tutto questo si manifesta? Il volontariato!
Qui voglio parlarvi di tre mie esperienze personali dirette e che mostrano facilmente il riscontro educativo del volontariato, che va ben oltre il tangibile immediatamente.

Se le spa in generale oggi hanno perso il connotato educativo e sociale di un tempo, ci sono delle terme speciali dove la socialitas è ancora tangibile. Sono le antiche terme romane di Cerveteri (a  circa 40 km da Roma), che l’archeologo Luigi Canina ascrive definitivamente all’antica Caere.
Le Aquae Caeretanae “Erano talmente famose da essere più popolate della stessa Caere”  (Strabone), che tanto per capire aveva circa 30.000 abitanti, nel periodo di massima espansione.
Alle Aquae Caeretanae, proprio come ai tempi dell’Antica Roma, sembra diventare tangibile e palpabile la locuzione “mens sana in corpore sano”.
Si resta così sorpresi, così accolti e coinvolti emotivamente, che non si può far a meno di restare e dare il proprio contributo a ridare lustro a queste antiche vestigia, insieme ai volontari del Gatc (gruppo archeologico territorio cerite).  Le Aquae Caeretanae sono visitabili gratuitamente, in Via delle Terme Calidae snc a Cerveteri, tutte le domeniche alle ore 11 o 15, previo appuntamento.


I visitatori restano catturati dalle Aquae Caeretanae, tanto quanto dai volontari e di “capitani” del sito, l’archeologa Francesca Lezzi e l’antropologo Roberto Della Ceca, che ha fatto del “dono” il suo dictat ed allaccia mondi diversi, in una trama incantevole.
E’ capitato a tutti, agli stessi volontari il primo giorno qui, come me, si resta rapiti da una strana estatica ebrezza, per cui risulta vitale il volontariato proprio in questo posto, quasi una dipendenza positiva.
Il lavoro di pulizia del sito diventa un rituale di pulizia della mente, la libagione prandiale diventa una cerimonia di convivialità e la tradizione che si tramanda diventa il nettare della civiltà futura.
Ciò che colpisce, in questa magica atmosfera di socialità, è la presenza di giovanissimi volontari, nemmeno adolescenti, che incantano i coetanei visitatori, con la loro visione del sito. Sono qui con i loro genitori, a testimonianza di quanto la genitorialità fondata sui valori possa essere fondamento della civiltà e quindi del futuro.
Pensate a questi ragazzi, per un giorno intero, senza internet e senza tempo da perdervi, impegnati con le mani in faticosa attività che cessano la mente, a contatto con gli altri, in rigoroso rispetto dell’archeologia e delle sue regole e di chi ne è esperto, occupandosi del passato, senza alcun tornaconto personale, coltivando la bellezza ed il valore della tradizione, imparando dagli altri e condividendo con loro.
Ciò che ho imparato io a 50 anni, il primo giorno qui, è stato porre la massima attenzione a ciò che si fa, perché in un mucchio di terra, che ci si appresta a buttare, può nascondersi un tesoro. Questo significa saper vedere in profondità, oltre l’apparenza, e saper essere nel qui ed ora, nel presente.
Qui il “lavoro” va fatto rispettando delle regole precise, che solo gli esperti possono conoscere. Questo significa imparare il rispetto e l’umiltà.
Qui è fondamentale “chiedere”, prima di agire e per qualsiasi dubbio. Questa abilità è una soft skill straordinaria per la maturità emotiva. Infatti, “chiedere” è l’unica soluzione per evitare di restare intrappolati nei nostri schemi difensivi, talvolta irragionevoli ed in discussioni sterili, quando ci sentiamo rifiutati o abbandonati o traditi o umiliati o vittime di ingiuste, soprattutto nelle relazioni intime, dove le emozioni sono più forti e nei rapporti tra maschi e femmine, che vengono da mondi diversi.
Tutto questo ha un ruolo fondamentale e straordinario, che va ben oltre il solo volontariato o l’archeologia, un ruolo fondamentale nella formazione della socialità e nella educazione delle nuove generazioni.

Ora pensate ai giovani, troppo presi dai social, dall’apparire, dall’appagamento immediato e dalla “inclusione” a trovarsi a fare volontariato in un’altra realtà: la mensa della Caritas, dove ho prestato servizio in cucina, in occasione di qualche festività, ma in cui, tutti i giorni, qualcuno non fa mancare il suo supporto.
Giacché i neuroni specchio permettono di sentire “come se”, una parte del cervello dei volontari è in grado di calarsi in ognuna di quelle vite “al margine”, dove la povertà è palpabile, la sopravvivenza dipende dall’aiuto, dove un sorriso e una battuta danno lo stesso sollievo di un pezzo di pane, dove non si possiede internet, nè un telefono, nè un letto, nè un bagno, dove le persone non sono incluse, ma emarginate.
Ogni volontario qui impara ad andare oltre l’apparenza, a comprendere il valore del dono, della solidarietà, del soccorso collettivo, della compassione e della gentilezza.
Ogni volontario qui impara che un pasto adesso, ovvero il presente, è molto più importante di ieri, del perché, del giudizio e del domani.
Ogni volontario qui può confrontare le proprie emozioni ed i propri bisogni egoistici con quelle di questi malcapitati. Questa è empatia, una soft skill fondamentale per il rispetto degli altri e per abbassare e prevenire l’egoismo, l’individualità, l’odio e la violenza.

Quest’ultima esperienza, che voglio raccontarvi, non l’ho vissuta come volontaria, ma come fruitrice, seppur in modo indiretto.
Mio padre, da 5 anni, veniva portato in dialisi dai volontari della croce rossa, 3 volte a settimana. Negli ultimi tempi, a causa della difficoltà di deambulazione, erano costretti a caricarselo di peso, per 2 piani. Non mancavano mai però di scherzare con lui e fargli effusioni, anche quando lui si innervosiva, fino all’ultimo giorno, quando ignari ancora della sua imminente dipartita, sono venuti a prenderlo ed io ho scosso la testa. Mi hanno detto che volevano vederlo. Hanno iniziato a piangere sulle scale, hanno pianto con noi. Ci hanno ringraziato per come lo abbiamo trattato. Sì, avete capito bene, loro hanno ringraziato noi, per come abbiamo trattato mio padre, come se fosse stato un loro familiare.
Pensate che un volontario  possa in qualche modo far male o odiare o essere violento con qualcuno o pensare solo al proprio interesse? Io francamente no. Un volontario ha un cuore grande e profonda empatia, questo significa che capisce il dolore altrui e non può che averne umanità, questo significa avere senso civico e sociale…
Il volontario si prende cura di qualcuno o qualcosa, senza reale tornaconto, se non l’appagamento emotivo.
Riuscire ad agire in modo da creare vantaggio, per gli altri e per se stessi, significa avere intelligenza emotiva, che necessità sì di empatia, ma non è empatia.
L’empatia è la capacità di mettersi nei panni altrui, anche solo razionalmente (empatia cognitiva), ma questo non implica affatto essere in grado di agire in modo vantaggioso per tutti, compreso se stessi.
Quando ciò avviene c’è un arricchimento di tutti e del pianeta stesso.
In ogni caso l’empatia permette di uscire fuori dal proprio egoismo e di non far del male, quindi di evitare la violenza e l’odio sempre più dilaganti, soprattutto in rete, favoriti dall’anonimato.
Non è forse questo che permette alla umanità di evolversi ed al pianeta di sopravvivere?
Parafrasando l’antropologa Margaret Mead, un femore rotto e risanato segna l’inizio della civiltà, perchè implica che qualcuno si sia preso cura di quella persona.
Stare insieme agli altri, in una collettività e svolgere azioni utili per la società, soprattutto se gratuite, permette di sviluppare importanti soft skills utili nella vita, in qualsiasi contesto.

Il volontariato e l’aggregazione dunque permettono di investire  nella maturità emotiva, nella empatia e nella intelligenza emotiva.

Aiutiamo il volontariato, perché il volontariato favorisce l’umanità.
Portiamo giovani al volontariato, perché il volontariato aiuta il futuro.




Autore

  • Angela Flammini

    dott.ssa Angela Flammini
    Qualifica: Psicologa - Psicoterapeuta
    Mail: [email protected]
    Sito web: problemi-di-coppia.blogspot
    Info: Il successo, la salute e la felicità dipendono dalla qualità delle relazioni e dalla intelligenza emotiva.
    Cambia le tue abitudini relazionali, giorno per giorno (come le hai imparate, con azioni, novità, ripetizioni e ricompense), migliora la tua intelligenza emotiva e ottieni salute, felicità e successo!
    Sono una donna in primis, poi una laureata in psicologia sperimentale (quello della ricerca), che ha fatto della scienza e della fisica quantistica la sua formamentis e si è specializzata in intelligenza emotiva e differenze tra uomini e donne.

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