Il Modello Patogenetico di Blaszczynski e Nower: l’applicazione nella pratica clinica

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Il Modello Patogenetico di Blaszczynski e Nower: l’applicazione nella pratica clinica

Un disturbo di addiction rappresenta il punto di arrivo di molteplici e complessi processi. Anche nel caso di una dipendenza comportamentale come il disturbo da gioco d’azzardo (DGA) innumerevoli variabili assumono valenza di rilievo per la diagnosi e il trattamento.

A fronte di una tale complessità, il modello patogenetico (MP) di Blaszczynki e Nower aiuta l’operatore a organizzare rapidamente il proprio ragionamento clinico, a ricercare e valutare i principali fattori di rischio, e ad avere una più chiara visione di quali strumenti terapeutici potrebbero essere più utili in ogni specifica tipologia.

Le principali qualità del modello sono la relativa semplicità, la facilità e rapidità di applicazione, la sua fondamentale coerenza con il buon senso e la realtà osservabile. Esso non nasce dal nulla, ma si colloca idealmente in linea con precedenti e accreditate tipologie relative alle dipendenze da sostanze.

Gli antecedenti del modello patogenetico: le tipologie di Cloninger e di Babor

Cloninger

È interessante osservare le analogie tra il modello patogenetico di Blaszczynski e Nower e le tipologie di Cloninger e di Babor. Cloninger (1987; Cloninger et al., 1996) propose infatti di distinguere due tipi di alcolismo che denominò prosaicamente come tipo 1 e tipo 2

Il tipo 1 si caratterizza per un più forte coinvolgimento di fattori ambientali e culturali, associati a una minore componente predisponente di natura genetica.

Si tratta di persone che iniziano ad abusare di alcol in età adulta, che tendenzialmente evitano i rischi, appaiono apprensive, pessimistiche, inibite, emotivamente dipendenti, rigide e facili al senso di colpa.

È spesso presente comorbilità psichiatrica. Sono infrequenti i comportamenti antisociali e l’astensione dal bere può essere raggiunta e mantenuta spontaneamente per periodi relativamente lunghi. La familiarità, quando presente, è soprattutto di natura culturale. Il bere è per lo più finalizzato alla sedazione di ansia o altri stati d’animo negativi. 

Il tipo 2 si caratterizza invece per un più profondo coinvolgimento della componente biologica e genetica.




L’avvio dell’alcolismo è precoce, sono presenti comportamenti antisociali e aggressivi, e la situazione appare multiproblematica. La persona tende alla ricerca di sensazioni forti e nuove, è impulsiva e indipendente dalle richieste ambientali, il bere è egosintonico e mancano il senso di colpa, l’ansia e la vergogna. Il bere è finalizzato al procurarsi euforia e disinibizione. La gravità del quadro clinico è maggiore rispetto a tipo 1.

Babor

Anche Babor e Colleghi (1992) individuarono due tipologie di alcolisti che denominarono in modo più che fantasioso: Tipo A e Tipo B. Le caratteristiche dei due gruppi risultavano del tutto simili alla tipologia di Cloninger sopra descritta. Le ricerche successive consentirono di estendere i risultati anche a soggetti dipendenti da cocaina e da altre droghe (Ball, 1996).

Se ne ricava quindi che nelle dipendenze chimiche esistono effettivamente due traiettorie diverse che portano le persone a sviluppare il disturbo: una in cui prevalgono aspetti ambientali, culturali e in cui è frequente l’associazione con disturbi affettivi e tratti patologici della personalità; l’altra in cui prevalgono gli aspetti di impulsività, multiproblematicità, antisocialità, con una più forte componente genetica, e che manifesta una maggiore gravità rispetto alla precedente.

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Raffronto tra le tipologie di Blaszczynski-Nower, e di Cloninger-Babor

In che misura il modello patogenetico nel gambling problematico è coerente con quanto descritto da Cloninger/Babor nelle dipendenze chimiche? Non si tratta di una domanda oziosa in quanto più le due classificazioni si avvicinano, più si rafforza il modello del DGA come forma di dipendenza comportamentale. Ciò avrebbe conseguenze anche nel tipo di strategie e strumenti terapeutici utilizzabili.

Il modello patogenetico di Blaszczynski e Nower descrive tre tipi di giocatori. Ci troviamo quindi di fronte da un lato a una consolidata classificazione in due sottogruppi di soggetti con dipendenza chimica, e dall’altro a tre sottotipi di giocatori d’azzardo problematici.

Sebbene a prima vista i due sistemi classificatori potrebbero apparire inconciliabili (tre vs due sottogruppi), in un confronto ravvicinato è possibile riconoscere forti analogie.

Infatti la descrizione del giocatore impulsivo antisociale (T3) appare del tutto sovrapponibile al tipo 2/B di Cloninger/Babor. La componente biologico-temperamentale, l’impulsività accentuata, i tratti antisociali, il basso livello di funzionamento e la multiproblematicità, l’esordio del consumo in età molto precoce, la prevalenza del sesso maschile, sono tutti elementi comuni alle due tipologie.

Parimenti, una forte analogia esiste anche tra il giocatore emotivamente vulnerabile (T2) e il dipendente da alcol/sostanze di tipo 1/A: la prevalenza delle componenti psicologiche e ambientali, i tratti di fragilità emozionale, la presenza di ansia e/o depressione primarie, l’esordio in età adulta e il coinvolgimento sia del sesso maschile che femminile.

La differenza sostanziale tra i due sistemi tipologici starebbe quindi nel fatto che il MP postula la presenza dei giocatori condizionati nel comportamento (T1), con assenza di rilevante comorbilità psichiatrica primaria, assenza di significativa impulsività, assenza di comportamenti antisociali e di multiproblematicità.

La prima domanda che ci si può porre è se effettivamente esista nella realtà un sottogruppo di giocatori con il profilo T1. La risposta è affermativa.

Quindi, come spiegare l’assenza di un simile profilo nelle dipendenze da sostanze? Si possono fare alcune ipotesi: A) il gioco d’azzardo ha un maggiore potere di attrazione verso persone peraltro normali in quanto comportamento più accettabile socialmente. Ciò potrebbe essere comprensibile se rapportato all’uso di stupefacenti illegali, ma sembra poco convincente se si considera l’elevata diffusione del consumo di alcol e tabacco nella popolazione generale. B) esiste una differenza sostanziale tra i soggetti dipendenti dall’azzardo e quelli da sostanze. Molti motivi portano a dubitare di ciò: sia sul piano neurobiologico che su quello fenomenologico vi sono più affinità che differenze. Inoltre esiste una ampia sovrapposizione di fattori di rischio e di comorbilità tra le due condizioni. C) La differenza è in realtà un artefatto: i giocatori condizionati nel comportamento potrebbero essere in realtà la fascia meno grave del tipo 2 di Blaszczynski, ovvero quelli emotivamente vulnerabili. In altri termini, il tipo 1/A di Cloninger o Babor comprenderebbe soggetti che il MP classifica come T1 o T2. In effetti la diversità delle variabili considerate come discriminanti potrebbe spiegare la differenza tra i due modelli. Nella tipologia di Cloninger i fattori discriminanti sono l’età di esordio, la presenza o meno di tratti antisociali, ansia e colpa legati al consumo (espressione di una certa egodistonia), novelty seeking, harm avoidance, reward dependence, incapacità ad astenersi e perdita del controllo una volta iniziato il consumo.

Sulla base di questi fattori è comprensibile che i soggetti T1 e T2 non vengano distinti. La discriminazione di questi ultimi viene operata sulla base di altri fattori: la comorbilità, la fragilità psicologica, una storia di abusi, traumi o problemi nell’età di sviluppo, bassi livelli di abilità di fronteggiamento, di problem solving, di abilità socializzanti e difficoltà di adattamento.

In conclusione la tipologia di giocatori derivata dal modello patogenetico mostra forti analogie, se non addirittura una sovrapposizione, con le tipologie di Cloninger e Babor. Ciò rafforza ulteriormente la convinzione che il MP abbia un fondamento ancora maggiore di quanto Blaszczynski e Nower avessero sostenuto nel loro lavoro originale (2002; Blaszczynski, 2000).



L’utilità del MP nella clinica pratica

La qualità principale del MP è l’avere una immediata utilità pratica nella clinica del DGA. Esso infatti consente di dare ordine al ragionamento clinico dell’operatore impegnato nella diagnosi multidimensionale del giocatore e nella costruzione del programma terapeutico.

Innanzi tutto il modello patogenetico guida l’operatore a focalizzare l’attenzione sui principali fattori di rischio bio-psico-sociali da indagare e che contribuiranno (certamente non da soli!) a delineare la strategia di trattamento.

La definizione, seppur provvisoria, della tipologia di appartenenza suggerisce anche qualche strategia da adottare immediatamente allo scopo di dare il giusto avvio alla relazione terapeutica. Ad esempio il contatto con una donna che gioca eccessivamente impone fin da subito di favorire un ambiente affettivamente caldo allo scopo di minimizzare i rischi di drop out. Una volta appurato se la giocatrice sia da inquadrare in T2 oppure T1 si deciderà l’intensità del trattamento, ad esempio una psicoterapia oppure un lavoro di counselling, anche se le giocatrici manifestano comunque esigenze affettive mediamente maggiori dei maschi. Inoltre si valuterà con attenzione l’esistenza e la qualità del supporto familiare, se esso sia adeguato e fino a che punto sarà attuabile un efficace controllo dell’accesso al denaro, strumento che spesso funziona poco in queste pazienti. Su questi aspetti sarà bene operare con prudenza, raccogliendo informazioni sugli indicatori chiave.

La prognosi e il carico assistenziale

La tipologia di appartenenza guida l’operatore anche a formulare precocemente una ipotesi sulla prognosi e sull’impegno che verrà richiesto sia al giocatore in trattamento che al servizio.

Il trattamento del giocatore T1 generalmente potrebbe essere avviato in modo “soft”, sia come frequenza di sedute, sia come impegno sul piano comportamentale, con una prospettiva di esito positivo. Infatti solitamente questa tipologia di giocatori è mediamente più collaborativa e motivata alla cura. Normalmente esiste una famiglia in grado di offrire sostegno, specie se si tratta di giocatori di sesso maschile. In certi casi la famiglia arriva al servizio avendo già avviato cambiamenti finalizzati alla protezione economica, nella gestione del denaro e nella amministrazione degli affari di casa.

I giocatori T1 spesso si sentono sollevati dai sensi di colpa quando la famiglia scopre il coinvolgimento nell’azzardo e i danni economici arrecati, con un (quasi) paradossale miglioramento dell’umore. Parallelamente, il funzionamento familiare appare di solito funzionale e meno conflittuale che nelle altre tipologie. L’operatore potrà limitare il proprio intervento a livelli proporzionati e accettabili sia da parte del paziente che della famiglia. Ovviamente saranno l’anamnesi e l’assessment a confermare o meno queste ipotesi di lavoro.

Un giocatore T2 richiederà un significativo impegno sul piano relazionale, a causa della comorbilità presente e della vulnerabilità emotiva. Nei giocatori T2 vi è una significativa variabilità sia relativa alla gravità del DGA che della comorbilità. I danni economici, la compliance, la motivazione, le relazioni familiari, sono tutti fattori molto variabili da caso a caso.

Schematicamente potremmo dire che i giocatori T2 formano un continuum che, per caratteristiche cliniche e per gravità, va da condizioni vicine ai T1 a condizioni vicine ai T3. In particolare, le giocatrici T2 possono presentare situazioni familiari piuttosto complicate e talora fortemente conflittuali. Tratti patologici di personalità dell’area borderline o istrionica rendono assai arduo il compito di instaurare e proteggere la relazione terapeutica. In alcuni casi molto gravi si osserva un vero e proprio deserto relazionale che complica molto il lavoro di recupero/reinserimento.

Il modello patogenetico descrive i giocatori T3 come i più gravi, con aspetti antisociali, motivazione e compliance scarse, difficoltà a sostenere l’astensione dal gioco e a portare a termine il percorso terapeutico. Se questo è vero per molti pazienti, in alcuni casi è possibile osservare che non tutti i giocatori impulsivi mostrano un basso livello di funzionamento personale e multiproblematicità (MacCallum et al., 2007; Nower& Blaszczynski, 2006).

Anche tra i T3 può esserci una certa variabilità per quanto riguarda compliance, motivazione e prognosi. È raccomandabile quindi non solo la rilevazione dei livelli di impulsività nei giocatori, ma anche uno studio più attento del quadro impulsivo e dei livelli di funzionamento dimostrati dal soggetto.

Va ricordato che le tre tipologie del modello patogenetico non sono nettamente distinguibili tra loro, e le aree di sovrapposizione sono ampie, in particolare per T2 e T3. Questi hanno diversi elementi in comune: l’impulsività è una caratteristica comune in molte forme di sofferenza psichica, e parallelamente è altrettanto frequente rilevare la presenza di disturbi psichici e difficoltà psicologiche in pazienti che presentano elevata impulsività. Il consumo di alcol/sostanze inoltre può essere presente in ambedue le tipologie di giocatori.

È essenziale tener presente che concetti quali uso di sostanze, disturbo psichico, impulsività, non vanno considerati categorie a sé. Il cervello dell’individuo rappresenta l’organo integrativo che organizza e “produce” pensieri, affetti e comportamenti, in una sintesi che resta comunque originale e irripetibile. Pertanto, pur se lo studio statistico dei fenomeni ci fornisce una guida orientativa e un supporto decisionale, va sempre verificato quanto il singolo caso sia conforme ai profili prototipici che la letteratura ci fornisce. Ciò è essenziale nella costruzione dei programmi terapeutici che sarà trattata nel prossimo capitolo.



Bibliografia e letture consigliate

Babor, T. F., Hofmann, M., DelBoca, F. K., Hesselbrock, V., Meyer, R. E., Dolinsky, Z. S., & Rounsaville, B. (1992). Types of alcoholics, I. Evidence for an empirically derived typology based on indicators of vulnerability and severity. Archives of General Psychiatry49(8), 599–608.

Ball, S. (1996). Type A and Type B Alcoholism: Applicability Across Subpopulations and Treatment Settings. Alcohol Health and Research World, 20, 30-35.

Bellio, G., & Fiorin, A. (2015): Il modello di valutazione diagnostica dell’ambulatorio per il gioco d’azzardo problematico di Castelfranco Veneto. Technical Paper n. 5, dipartimento per le dipendenze, Az. Ulss 8, Castelfranco Veneto.

Blaszczynski, A. (2000). Pathways to Pathological Gambling: Identifying Typologies. Journal of Gambling Issues, 1.

Blaszczynski, A., & Nower, L. (2002). A Pathways Model of Problem and Pathological Gambling. Addiction, 97:487-499.

Cloninger C. R. (1987). Neurogenetic adaptive mechanisms in alcoholism. Science236(4800), 410–416.

Cloninger, C.R., Sigvardsson, S., & Bohman, M. (1996). Type I and Type II Alcoholism: An Update. Alcohol Health and Research World, 20, 18 – 23.

MacCallum, F., Blaszczynski, A., Ladouceur, R., & Nower, L. (2007). Functional and dysfunctional impulsivity in pathological gambling. Personality and Individual Differences, 43, 1829-1838.

Nower, L., & Blaszczynski, A. (2006). Impulsivity and Pathological Gambling: A Descriptive Model. International Gambling Studies, 6/1, 61-75.

Fonte azzardoinfo.org



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